Voci dal terrore: «Dovevo essere lì anch’io, salva grazie al cellulare»

Sara Alahy, studentessa varesina di fede musulmana, è scampata ai terroristi. «Vivo a due passi da London Bridge, a quell’ora sarei passata di ritorno dalla moschea. Chi uccide non può dirsi islamico»

«Sabato pomeriggio ho perso il cellulare. Probabilmente sono viva per questo. Altrimenti sarei stata sul London Bridge all’ora dell’attentato». è una giovane studentessa varesina (la famiglia vive a Castellanza) che da due settimane si è trasferita stabilmente a Londra: «Dopo la laurea a Varese in economia e commercio sono venuta qui per la specializzazione».

Sara vive a due fermate del metrò dal London Bridge, dal luogo dove sabato sera tre terroristi hanno messo in atto un attentato investendo la folla con un furgone e accoltellando i passanti che ha causato 7 morti (oltre ai 3 attentatori) e 48 feriti.

Sara è musulmana. «I terroristi non lo sono. Non esiste un Islam moderato e uno no. Questi sono pazzi assassini che nulla sanno della religione musulmana». Sabato pomeriggio Sara ha perso il cellulare. «Ero furibonda. Ora mi rendo conto che questa coincidenza, se di coincidenza si può parlare, forse mi ha salvato la vita. Siamo nel periodo del Ramadan, durante il giorno digiuno e faccio tutte le mie attività, tra scuola e lavoro, alle 21 sarei dovuta andare in moschea proprio a London Bridge».

«L’attentato – spiega – è stato messo in atto proprio nell’orario in cui i fedeli escono dalla moschea: London Bridge è un luogo molto frequentato e uno snodo importante per i trasporti pubblici. Se fossi andata in moschea a quell’ora sarei stata lì. Come minimo avrei assistito all’accaduto, ma avrei anche potuto essere tra le vittime. Perché queste persone uccidono indiscriminatamente: non ti chiedono i documenti. Ammazzano cristiani, musulmani, bianchi, neri, donne e bambini. Nessuno è al sicuro».

E invece senza telefono per avvisare qualcuno qualora avesse perso la corsa di ritorno a casa o consultare gli orari dei treni per il ritorno, Sara non si è fidata ad uscire. Dell’attentato ha saputo da un’amica: «Stavamo parlando – spiega – poi è caduta la comunicazione. Mezz’ora dopo mi ha mandato un messaggio social: guarda cosa è successo a London Bridge. Lei lavora lì. Sono rimasta pietrificata».

Perché da lì Sara è passata centinaia di volte: «Attentati ce ne sono stati anche mentre ero in Italia – racconta – ti colpiscono naturalmente. Ma sono lontani. Quando accadono vicino a te, in posti dove sei stato due ore prima è diverso. Sei pietrificato». Sara parla del terrorismo. «Frutto del non sapere, del disagio – spiega – i reclutatori abbordano gli ignoranti, chi non sa. Non sanno cosa sia il Corano altrimenti non farebbe quello che fanno. Non sarebbero assassini. E la comunità islamica di tutto il mondo, quella vera, non è immobile: se ci fossero gli strumenti li avremmo già fermati».

Sara indossa il velo da poco: «I miei genitori non mi hanno imposto la religione. Mi hanno detto “studiale tutte e scegli”. Ecco oggi (ieri per chi legge) sono uscita indossando il velo. E mi hanno guardato diversamente. Nessuno mi ha insultato, ma ho colto degli sguardi di diffidenza. E la signora per cui lavoro come baby sitter, mi ha detto: “Stai attenta, non esporti troppo”. Questi pazzi assassini danneggiano l’Islam». «Quello che vogliono – conclude Sara – è limitare la nostra libertà. Dividerci, chiuderci in casa e farci vivere nella paura. E credo ci stiano riuscendo».