Erano le 10:25 del 2 agosto 1980 quando una bomba molto potente scoppiò nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna.
Un’esplosione violentissima che provocò la caduta delle strutture sopra le sale d’aspetto e di circa trenta metri di pensilina, colpendo anche il treno Ancona-Chiasso che sostava al binario 1.
Il bilancio fu di 85 morti e di 200 feriti: uomini, donne e bambini provenienti da città diverse italiane e straniere.
Bolgona divenne subito una grande macchina di soccorso e assistenza. Le ambulanze non erano sufficienti, così i dipendenti del trasporto pubblico si misero a disposizione con vari autobus, tra cui il famoso 37, dove fu rimosso l’arredamento interno per agevolare il trasporto dei corpi estratti dalle macerie.
Quel giorno iniziò una delle indagini più complesse della storia giudiziaria italiana. Molti processi con diverse sentenze e colpi di scena si sono succeduti fino al 1995, quando è giunta la condanna all’ergastolo, quali esecutori materiali, degli esponenti dei NAR, Nuclei armati rivoluzionari, Valerio Fioravanti, detto Giusva e Francesca Mambro. Entrambi si sono sempre professati innocenti, rivendicando invece molti altri omicidi.
La condanna è stata resa definitiva ma rimangono ancora molti dubbi e ombre sui veri mandanti della strage. Tante teorie e testimonianze, più o meno attendibili, hanno alimentato negli anni il mistero sul più grave attentato terroristico avvenuto nel nostro Paese nel secondo dopoguerra, da molti considerato come uno degli ultimi atti della “strategia della tensione”, iniziata con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
Alla stazione di Bologna si puè vedere ancora lo squarcio nella parete causato dalla bomba e l’orologio rimasto fermo alle 10:25 per ricordare quanto accaduto.
Alla sala d’aspetto ricostruita è stato dato il nome di Torquato Secci, padre di una delle vittime e fondatore dell’Associazione Vittime della strage.
Nel 2010 questi luoghi sono stati dichiarati patrimonio dell’UNESCO per la pace.