Dublino, 19 nov. (Ap) – Trattative serrate con possibili segnali di apertura da Dublino all’idea di chiedere un piano di aiuti. Mettendo le mani avanti e insistendo sul fatto che non è necessario allo Stato in sé, il ministro delle finanze Brian Lenihan ha però ammesso che un supporto si è reso necessario per le disastrate banche irlandesi. “Sono cresciute in misura tale da diventare ingestibili per lo Stato – ha affermato al termine di lunghe discussioni alla Banca Centrale -. E’ chiaro che avremo bisogno di qualche tipo di aiuto esterno per affrontare queste difficoltà”. Insomma gli aiuti servono, anche se Dublino cerca in tutti modi di evitare che la questione passi come un salvataggio del suo bilancio pubblico. Tuttavia è proprio il bilancio del paese ad esser finito fuori scala, a seguito dei costosissimi piano di salvataggio pubblico delle banche: faranno lievitare il deficit 2010 dell’Irlanda oltre il 32 per cento del Pil.
Questo ha innescato tensioni dei mercati, e il pressing dei partner europei affinché Dublino avviasse discussioni con Ue, Bce e Fmi sul da farsi per aggiustare la situazione. Intanto la Commissione e altri paesi europei esigono che l’Irlanda abbandoni la sua storica fiscalità di vantaggio a favore delle imprese, con aliquote di appena il 12,5 per cento che le hanno permesso di attirare molte aziende straniere. Un punto su cui finora l’Irlanda ha opposto una tenace resistenza. Ne deriva una sorta di partita a poker tra una Irlanda che ha bisogno di aiuti ma non vuole pagare la contropartita solitamente richiesta sui salvataggi dei paesi – la perdita di parte della sovranità nazionale sul bilancio – e una Europa che deve convincerla a farsi aiutare per evitare che i suoi problemi rischino di contagiare il resto dell’area euro o tutta l’Ue.
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