Per nove eterni anni è stato bollato con un marchio infamante: quello di mostro. Ieri però il suo calvario è finito. Un 50enne artigiano residente in un paese alle porte di Varese è stato assolto dall’accusa di violenza sessuale. Un’accusa tanto più infamante in quanto l’abuso sarebbe stato perpetrato nei confronti della nipote, che all’epoca dei fatti aveva circa 10 anni.
Il tribunale di Varese, tuttavia, ha cancellato l’onta. L’uomo è stato prosciolto dall’imputazione, anche se solo con la formula dubitativa dell’articolo 530 secondo comma del codice di procedura penale: un tempo si sarebbe detto «per insufficienza di prove». L’accusa, rappresentata dal pm Sara Arduini, non è però affatto convinta della sentenza: per questo ha già annunciato che farà appello. Nei confronti dell’artigiano era infatti stata richiesta una pena pari a otto anni e sei mesi di reclusione.
Secondo l’accusa, i primi episodi risalirebbero al maggio 1998, quando la bambina (ora maggiorenne) aveva solo nove anni. Il processo in corso fino a ieri riguardava però un singolo episodio.
La vicenda era emersa solo nel giugno 2000, in seguito a una telefonata anonima indirizzata a un consultorio della zona e ad alcune dichiarazioni rilasciate dalla ex convivente dell’artigiano. La donna, che in quel periodo stava vivendo la fine della propria storia d’amore, aveva addirittura registrato su una cassetta una conversazione con l’ormai
ex partner: e in quel nastro lui si sarebbe lasciato scappare frasi compromettenti. Secondo la donna, l’artigiano avrebbe toccato la bimba nelle parti intime, masturbandola. Anzi: avrebbe rivolto le sue attenzioni persino alla sorellina di sei anni più piccola. E ciò sarebbe accaduto nell’abitazione del presunto orco, addirittura alla presenza della mamma (inizialmente indagata per complicità) e della nonna della piccina. L’uomo venne arrestato nell’ottobre 2000 e restò in carcere per circa un anno. Secondo l’avvocato difensore, il varesino Marco Lacchin, il fatto di essere figlio di una persona a suo tempo condannata per violenza sessuale nei confronti di una figlia avrebbe gettato un’ulteriore (anche se ingiustificata) ombra sulla sua figura. Poi, udienza dopo udienza, la sua situazione è diventata meno disperata. Infine è riuscito a dimostrare la propria innocenza. Decisiva è stata la deposizione in aula proprio della presunta vittima: davanti alla giuria ha negato di essere mai stata palpeggiata dallo zio.
e.romano
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