Francoforte, 28 set. (TMNews) – Dopo la casa di abbigliamento Hugo Boss, anche la famiglia Quandt, ricchissima proprietaria della Bmw fa i conti col suo passato nazista. Stando alle ricerche commissionate a uno storico indipendente, infatti, il patriarca Gunther Quandt, anziché “essere vittima dei nazisti” come aveva fatto credere alla fine della guerra, “faceva parte del regime”. Lo studio dello storico Joachim Scholtyseck, pubblicato in questi giorni, doveva essere “un esercizio di apertura e trasparenza” nelle intenzioni dei nipoti di Gunther Quandt ma si è rivelato un durissimo colpo alla reputazione del fondatore dell’impero industriale e dei suoi figli Herbert e Harald.
Sembra infatti che nei suoi stabilimenti, Quandt senior abbia sfruttato – talvolta fino alla morte – oltre 50mila fra lavoratori forzati, prigionieri di guerra e dei campi di concentramento per la fabbricazione di armi e pezzi d’artiglieria destinati ad Adolf Hitler. Descritto come un imprenditore “senza scrupoli”, è riuscito a cavalcare economicamente il periodo nazista a discapito della manodopera ebrea trasformando così la sua azienda in un colosso industriale.
Nello studio si parla di rapporti piuttosto tesi con Joseph Goebbels, ma esclusivamente per motivi personali – dopo il loro divorzio la moglie di Quandt, Magda sposò il capo della propaganda di Hitler che quindi visse con i suoi figli dopo di lui. Persino il figlio Herbert, uno dei protagonisti del “miracolo economico” tedesco del dopoguerra, noto finora per aver salvato la Bmw dalla bancarotta comprandola nel 1959, non esce bene dal nuovo quadro. Anche lui – stando alle ultime rivelazioni – ha sfruttato lavoratori forzati quando dirigeva uno degli stabilimenti del gruppo a Strasburgo alla fine della guerra, e ha persino guidato i lavori di costruzione degli alloggi nel campo di concentramento di Sagan nell’attuale Polonia.
Attraverso quest’opera, gli eredi Quandt, a capo di una fortuna stimata 20 miliardi di euro, hanno voluto esprimere “la più profonda vergogna” per il lavoro forzato, senza tuttavia ripudiare il nonno. “Ci sarebbe piaciuto che fosse un uomo diverso” ha dichiarato Gabriele Quandt, nell’unica intervista rilasciata dopo la pubblicazione della ricerca, al settimanale Die Zeit. Quanto al nipote Stefan, ricorda il nonno come “un imprenditore responsabile”, lontano dalla politica, che “non aveva certo come obiettivo quello di uccidere altri esseri umani”. Una visione che si scontra decisamente con i risultati dell’indagine storica.
Proprio nei giorni scorsi, un libro libro intitolato ‘Hugo Boss 1924-1945’ – scritto dallo storico dell’economia dell’Università di Monaco Roman Koester e commissionato dalla stessa casa di moda – aveva rivelato che l’ex patron della griffe fu un convinto nazista e arrivò a sfruttare come manodopera ben 180 prigionieri di guerra (di cui 40 francesi). Così, più di 60 anni dopo, l’azienda è stata costretta al mea culpa, pubblicando sul suo sito Web una nota in cui ha espresso il suo “profondo rammarico nei confronti di tutte le persone che hanno sofferto un forte disagio o vissuto pericoli mentre lavoravano nell’azienda di Hugo Ferdinand Boss sotto il regime nazional-socialista”.
Spr
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