Piccolomo ricorre in appello “Il coltello fu manipolato”

COCQUIO TREVISAGO «Quel coltello è stato manipolato e l’esame non può essere attendibile»: una rilettura puntuale della sentenza della Corte d’assise, per prospettare da un altro punto di vista i fatti contestati a Giuseppe “Pippo” Piccolomo in virtù dei quali l’ex ristoratore di Caravate è stato condannato all’ergastolo: l’avvocato Simona Bettiati ha depositato nei giorni scorsi l’appello contro la sentenza di primo grado emessa lo scorso 20 giugno per l’omicidio di Carla Molinari, trovata morta nella sua casa la sera del 5 novembre del 2009, pugnalata, sgozzata e privata delle mani.

Dai filmati che lo riprendono salire in macchina nel parcheggio del centro commerciale di Cocquio, a quelli che ne registrano il passaggio di fonte alla scuole in un orario compatibile con quello dell’avvenuta morte, alla testimonianza della donna che riconosce in Pippo l’uomo che raccoglieva mozziconi in un barattolo di vetro, svuotando il posa ceneri del bar dello stesso centro commerciale il giorno prima dell’omicidio, tutti i capisaldi della sentenza della Corte d’assise vengono messi in discussione e riletti secondo le schema già messo in pratica dall’avvocato Bettiati.

E anche la prova regina del sangue e del dna di Carla Molinari trovati sul coltello tipo Rambo che Pippo teneva sul comodino della sua casa di Ispra viene in un certo senso contestata: non le conclusioni dell’esame svolto da Carlo Robino, il perito incaricato dal tribunale in fase ancora di indagini su richiesta di incidente probatorio da parte della stessa difesa.

L’oggetto della contestazione riguarda le modalità di conservazione del reperto, il fatto che sia passato da mani diverse che potrebbero in via teorica, secondo l’avvocato, «averne inquinato l’integrità: non volontariamente, ma comunque in modo tale da rendere non attendibile poi l’esame». Una tesi già espressa durante il dibattimento, anche dallo stesso Piccolomo in maniera decisamente più ruvida: «Mi hanno incastrato». Poi chiese scusa.

L’avvocato parla di un inquinamento involontario, dovuto appunto alle modalità di conservazione del reperto per tutti quei mesi prima dell’esame: «È passato di mano in mano per sei mesi, ne è stata minata l’integrità».

Franco Tonghini

f.tonghini

© riproduzione riservata