di Alessio Pagani
SESTO CALENDE Recupero ultimato. Nel primo pomeriggio di ieri, ad opera dei sommozzatori specializzati dei vigili del fuoco di Torino, è stato ripescato il motoscafo colato a picco lo scorso 19 agosto nel lago Maggiore dopo lo scontro con uno yacht, costato la vita a una donna di Sesto Calende.
Il relitto, lungo circa 4,5 metri, è stato agganciato a 81 metri di profondità, a un centinaio di metri dalla costa di Belgirate, di fronte all’hotel Villa Carlotta. Il piccolo motoscafo era affondato a seguito della violenta collisione col potente Brandaris Lancia Q52, lungo 16 metri. Un impatto devastante che fece una vittima, Marina Spiridinova, 43enne di origini ucraine, e causò il ferimento dei tre amici che erano a bordo con lei: Moreno Morosini, 38enne di Somma Lombardo, un 45enne e un 24enne di Castelletto Ticino.
I resti dell’imbarcazione, individuati con un robot subacqueo nei giorni scorsi, sono stati issati su una chiatta della Protezione civile di Verbania, con il coordinamento della Guardia costiera. Dopodiché sono stati posti immediatamente sotto sequestro in un cantiere nautico di Stresa. Lì saranno oggetto, nei prossimi giorni, delle perizie tecniche del caso, necessarie ad appurare la dinamica e le responsabilità dell’incidente mortale. Saranno fondamentali l’analisi della carena danneggiata dello yacht e dei punti di impatto sulla barca recuperata ieri. Tasselli che si uniranno ai referti medici dell’autopsia già effettuata sul cadavere della donna, e che entreranno a far parte del fascicolo dell’inchiesta aperta dalla Procura di Verbania, affidata al pubblico ministero Gianluca Periani.
Per ora, l’unica certezza è che l’uomo ai comandi dello yacht è risultato negativo sia all’alcoltest, sia al drugtest. Ciononostante non ha saputo fornire spiegazioni sull’incidente. Iscritto nel registro degli indagati per il reato di omicidio e naufragio colposi, il pilota della lussuosa imbarcazione, un 56enne di Rotterdam, imprenditore in pensione, che viaggiava con altri quattro olandesi, non si sarebbe reso conto di nulla. Fino all’impatto. «Non mi sono accorto di niente, non ho visto niente – aveva detto subito dopo la tragedia – Ho solo sentito le urla e mi sono fermato. Ho subito chiamato i soccorsi e cercato di dare una mano». Un racconto ribadito più volte agli inquirenti piemontesi.
Per il momento, così, ci sono solo ipotesi, per lo più legate a una fatale distrazione. Forse la prua dello yacht, alzata dai potenti motori in fase di partenza, ha impedito al pilota di vedere la barca; oppure il 16 metri stava navigando e non si è accorto del movimento dell’altra imbarcazione. Interrogativi che i giudici contano ora di fugare, proprio grazie alle perizie tecniche.
s.affolti
© riproduzione riservata