New York, 2 ago. (TMNews) – All’una e mezza di un pomeriggio di solleone a Washington, gli Stati Uniti hanno ufficialmente evitato la prima dichiarazione d’insolvenza della loro storia. Barack Obama ha messo la firma presidenziale alla legge che permette di aumentare il debito pubblico di 2.100 miliardi di dollari e taglia la spesa pubblica di più di 2.400 miliardi in dieci anni. E’ finita così una saga che ha monopolizzato il Congresso e l’attenzione
dei media americani per tutto luglio e conclusa a poche ore dalla scadenza oltre la quale, a sentire il Tesoro, gli Stati Uniti avrebbero finito i soldi per pagare i creditori. Il default è stato evitato, il rating a tripla A sul debito sovrano è per ora intatto, e la Washington della politica può chiudere i battenti per la lunga pausa estiva che finirà solo dopo Labor Day, il primo fine settimana di settembre. Non è finita invece la questione più profonda, quella di come rientrare da un deficit di bilancio arrivato quest’anno all’11 per cento del prodotto interno lordo: l’intesa firmata oggi sposta la questione all’anno prossimo, in campagna elettorale. Proprio quello che Obama, consapevole che non si può riportare la disciplina fiscale senza pronunciare l’odiata parola “tasse”, voleva evitare.
Gli scontenti in realtà non sono solo alla Casa Bianca. L’intesa è un compromesso che scontenta anche le ali estreme dei due partiti. Alla destra del partito repubblicano, la base del Tea Party, nata tre anni fa su un programma anti-tasse e per la riduzione estrema della spesa pubblica, non voleva ulteriore debito e chiedeva più tagli. A sinistra, l’ala progressista dei democratici, quella che va in America sotto il nome di “liberal”, è furibonda con Obama per aver detto sì a un piano che taglia dappertutto nel bilancio pubblico, fuorché nella sanità e previdenza. E così al Senato si è vista una strana alleanza per il no che, pur senza prevalere, è riuscita nell’impresa di mettere insieme un arciconservatore come Jim DeMint del South Carolina con Bernie Sanders, del progressista ed ecologista stato del Vermont.
Obama dovrà quindi fare i conti nel 2012 con lo scontento di parte della base, ma anche i repubblicani hanno divisioni interne. Lo stesso Tea Party, che pure ha portato a casa un risultato importante con l’assoluta mancanza di nuove tasse nell’accordo, si è diviso nettamente. I deputati che si riconoscono nel movimento e hanno formato alla Camera il “Tea Party caucus” hanno votato tutt’altro che compatti, con 32 sì e 28 no. Una spaccatura che in fondo, come lo stesso Tea Party, riflette molti dei sentimenti dell’America profonda, almeno secondo un sondaggio Cnn uscito oggi. Per il quale una maggioranza risicata degli americani, il 52 per cento, si dice favorevole all’intesa che alza il tetto del debito, mentre il 44 per cento è contrario.
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