Egitto: omicidio popstar Tamim, giallo politico a tinte fosche


Il Cairo, 22 mag (Apcom)
– Nessuna attenuante per l’uomo d’affari
egiziano Hisham Talaat Moustafa (amico del figlio del presidente
Mubarak, Gamal) condannato a morte da una corte corte egiziana
per aver commissionato l’omicidio di Suzanne Tamim, giovane
popstar libanese trovata senza vita in un appartamento di lusso
dell’Emirato di Dubai il 28 luglio del 2008.

Un efferato delitto eseguito su commissione da una guardia del
corpo di Moustafa, Mohsen Al Sokkary, che ha poi denunciato il
proprio datore di lavoro e confessato di aver ricevuto 2 milioni
di dollari per l’omicidio.

Finisce così, in modo sorprendente, un giallo a tinte fosche
degno delle più truculente fiction televisive. Gli elementi per
‘appassionare’ l’audience araba, e non solo, c’erano tutti:
potere, denaro, lusso, politica, spettacolo, bellezza, violenza,
morte.

La Tamim era famosa più per la sua tormentata vita sentimentale
che per il suo talento: poco più che trentenne, alle spalle già
due matrimoni con altrettanti ricchi business men, Suzanne
brillava per le sue storie d’amore lampo, vere o costruite ad
arte per farsi pubblicità, sempre vissute sotto i riflettori, e
per i rapidi traslochi da una capitale all’altra del mondo arabo.

Fra le ultime conquiste sentimentali della bella – ma assai
‘ritoccata’, come tutte le star libanesi alla ribalta – il tycoon
egiziano Hisham Talaat Moustafa appunto, amico intimo della
famiglia ‘reale’ egiziana, i Moubarak, con cui intratteneva forti
legami economici.

Moustafa era il proprietario di una holding dell’edilizia quotata
in borsa, le cui azioni sono bruscamente crollate dall’autunno
scorso in poi, senza sosta. Suzanne era diventata famosa grazie a
un programma musicale intitolato Studio Al Fann. I due si erano
conosciuti quando lei si era trasferita al Cairo dopo il divorzio
dal secondo marito, un produttore musicale.
Secondo i familiari della cantante, quando ancora Suzanne e
Moustafa si frequentavano – e lei viveva fra il Cairo e Dubai,
negli attici di proprietà di lui – l’uomo d’affari le aveva
offerto 50 milioni di dollari pur di convincerla a sposarlo.
Suzanne deve avere non solo respinto l’offerta, ma anche
liquidato l’amante per un uomo più giovane e aitante, Riyad El
Azzawi, campione di kick boxe di origine irachena.

El Azzawi è poi diventato il terzo marito di Suzanne nei primi
mesi del 2008 – ma questo terzo matrimonio è rimasto segreto –
mentre in realtà il legame con Hisham Moustafa sarebbe terminato
almeno un anno prima, fra liti furibonde e minacce di morte.
La vendetta ideata e ottenuta da Moustafa è degna di un thriller:
la vittima è stata sfregiata e accoltellata ferocemente dal
proprio assassino, che l’ha poi decapitata (o ha cercato di
farlo, a seconda delle versioni fornite dalla polizia degli
Emirati Arabi).

Al ritrovamento del corpo in una delle torri più lussuose di
Dubai ha fatto seguito un’indagine accurata da parte delle
autorità locali, forse sotto pressione per il clamore che un
omicidio così efferato ha generato. Le ricerche hanno portato
rapidamente all’individuazione del responsabile materiale, la
body guard Al Sokkary – anche lui condannato a morte – e alla sua
piena confessione.

Del caso Tamim si è parlato su Internet, in televisione, sui
giornali o semplicemente nel privato non tanto perché la giovane
artista fosse amata, ma piuttosto perché sotto processo è finito
un ‘ricco e cattivo’, un intoccabile membro del clan Moubarak. Un
business man e deputato del Parlamento egiziano a tal punto
sicuro della propria impunità da dare gli ordini per telefono.
Davvero troppo anche per i migliori avvocati sulla piazza.
Dopo le prime fasi del processo,

riportate con dovizia di
particolari dalla stampa, i giudici hanno deciso di procedere a
porte chiuse e di vietare la diffusione di notizie. Segnali che
lasciavano presagire un atteggiamento ossequioso nei confronti di
Talaat Moustafa, chiamato dall’avvocato dell’accusa “eccellenza”
(in arabo, basha) e fotografato con una sigaretta in bocca in
aula, un permesso speciale accordatogli dal giudice.
Privilegi che però non hanno messo al riparo dalla pena di morte
uno degli uomini più potenti dell’Egitto.

Ora, come previsto dalla legge egiziana, il verdetto sarà
valutato dal Gran Muftì della Repubblica per conferma. Ai due
condannati spetta il diritto di fare appello.

Cep

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