VARESE «Cedere un pezzo della propria azienda è come aiutare un figlio ad andare a vivere fuori casa: doloroso ma necessario nella convinzione che solo così potrà continuare a crescere». Parola di Serafino Memmola, il fondatore della Cobra, azienda leader mondiale nel settore dell’antifurto per auto, che venerdì ha dovuto annunciare a 450 dipendenti la vendita del settore produzione al gruppo tedesco Bluo per 5 milioni di euro.
Un annuncio «difficile, emozionante, ma doveroso», lo definisce l’imprenditore che ieri mattina era di nuovo al lavoro, nella sede varesina della Cobra automotive thecnologies Spa, per continuare a confrontarsi con i suoi dipendenti: «C’è qualcuno che ancora non è convinto di questa operazione, ma l’azienda è come una famiglia e la separazione non può essere piacevole». «Con i finanziamenti raccolti potevamo fare solo una parte non tutto, quindi abbiamo tenuto la parte telematica dei servizi e il resto lo affidiamo a questo partner tedesco che si è
mostrato seriamente interessato e motivato», afferma Memmola assicurando che comunque rimarrà a Masnago sino a maggio, quando il passaggio sarà completo, per portare a termine alcuni progetti e sino ad arrivare alla presentazione del nuovo piano industriale del gruppo tedesco, che per ora ha confermato produzione e occupazione. Rimarrà saldo anche il legame con il settore telematico che rimane a Memmola e diventerà cliente e stimolo tecnologico nella ricerca di nuove funzioni per la produzione.
La ricerca di qualità e di accordi commerciali direttamente con le case automobilistiche tra cui Porsche e Audi, tanto per citarne un paio, sono le strategie che hanno fatto la fortuna del gruppo Cobra, fondato nel 1975: «All’inizio le case automobilistiche erano scettiche, spaventate dall’idea di “manomettere” auto nuove con l’elettronica non convenzionata degli antifurti», ricorda Memmola.
Ma nel ricostruire la storia del gruppo e le vicende che lo hanno portato a cederne un pezzo, Memmola non nasconde le proprie responsabilità: «Tutto è cominciato nel 2006 – ricorda – quando abbiamo deciso che la dimensione internazionale non ci bastava, volevamo diventare una realtà globale puntando su un sistema particolare di antifurto satellitare». Di qui la scelta di quotarsi in Borsa chiedendo un finanziamento di 40 milioni di euro. «Il mercato reagì così bene che era pronto a finanziarci per 500 milioni, ma ne prendemmo solo 40, e la cifra presto si dimostrò insufficiente», ammette. Più della metà fu impiegata solo acquisire la Eurosat di Busto Arsizio. Ma servivano anche altre competenze, in termini di personale, aziende e ricerca. Poi è arrivata la crisi del 2008: «Quell’anno uno dei nostri principali committenti, la Toyota, perse il 50% del fatturato, cioè 20 milioni in meno sui nostri bilanci – spiega – i fatturati non erano più sufficienti a coprire i costi della nostra crescita». Da qui diversi tentativi di trovare nuovi finanziatori, dagli Usa al Sudafrica ma senza ottenere mai più di una fugace boccata di ossigeno. Si è arrivati persino a un periodo di cassa integrazione fino all’aumento di capitale dello scorso dicembre che pure non è stato sufficiente. In questa situazione l’interessamento di Bluo è stato provvidenziale. Ora l’auspicio è che la compagnia tedesca mantenga saldi i suoi propositi di investimento. Memmola ne è convinto, ma avverte: «Il gruppo funziona se resta unito». Un ultimo appello ai suoi dipendenti a rimanere in azienda e a continuare a lavorare come sanno, anche con la nuova proprietà.
Lidia Romeo
s.bartolini
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