Stabio – Burocrazia svizzera, tasse ticinesi e manodopera italiana. È su questi tre pilastri che si fonda il successo di Stabio. 4371 abitanti, al 31 dicembre scorso, quasi 5000 frontalieri che fanno del comune ticinese appena dopo il valico del Gaggiolo una sorta di azienda diffusa. Rappresentazione unica di ciò che il Canton Ticino è diventato per le aziende italiane: un vero e proprio El Dorado da raggiungere. Missione tutt’altro che impossibile.
Anche perché da anni piovono gli inviti. Come se ci si trovasse di fronte ad un club esclusivo che però, quasi con ossessione, ricerca membri. Che tradotto significa: investimenti e arricchimento tecnologico. A tutto danno dell’Italia e del Varesotto. Dove si assiste ad un emorragia continua. Di imprese. Che se ne vanno. Proprio in Svizzera. Dove ci sono «elevata qualità della vita, lingua italiana, certezza del diritto e stabilità del sistema, ma anche infrastrutture tra le più
moderne al mondo e una posizione centrale sugli assi di comunicazione». Così, infatti, i nostri vicini si presentano a coloro che sono interessati a creare un’impresa. Soprattutto agli industriali italiani che vogliono abbandonare la Penisola e installarsi appena oltre il Gaggiolo. Perché, sembra recitare l’invito, tutto ciò che vorreste in Italia qui c’è già. Senza dimenticare l’aspetto fiscale. Tra dirette e indirette, le imposte a carico delle società che hanno sede in Ticino si aggirano sul 25 per cento degli utili, mentre in Italia spesso superano il 50%.
In Ticino gli utili delle aziende sono tassati, infatti, al 9%, a cui va aggiunta un’imposta comunale che a Stabio è il 65% di quel 9, una delle più basse delle zona e che ha contribuito senza ombra di dubbio a richiamare qui imprese e lavoro. «A conti fatti a Stabio la pressione fiscale non supera il 20- 25% – afferma Claudio Cavadini, sindaco del paese -, e grazie alla presenza delle aziende noi copriamo il 50% del nostro fabbisogno finanziario. Da parte nostra rispondiamo con la qualità dei servizi: massimo 40 giorni e chi vuole aprire un’attività qui si vede rilasciati tutti i permessi». Il perché è presto spiegato.
«Le imposte cantonali vengono calcolate in base ad un moltiplicatore – spiega Sergio Aureli, dirigente del sindacato ticinese, Unia – . E visto che prima pagano le persone giuridiche e poi quelle fisiche a Stabio, come in altre realtà fortemente industrializzate, questo moltiplicatore è tra i più bassi dell’intero Cantone, ovvero il 65%». Risultato: dalla fuga dei cervelli alla fuga delle imprese, insomma. Sono così oltre 300 le piccole e medie aziende ad aver delocalizzato le loro attività logistiche e di produzione oltre frontiera. La maggior parte di loro sono attive nel settore della moda (Armani, Gucci, Zegna, Tom Ford), ma anche in quello farmaceutico, meccanico e elettronico.
Perché la fiscalità non è l’unico elemento di attrazione. Gli imprenditori che si sono spostati nella Svizzera italiana sono stati allettati anche da altre «sirene». La burocrazia, per esempio, è snella e consente di aprire un’attività in tempi ristretti: con le norme locali, servono poche ore per costituire una società e due giorni per adempiere ai vari obblighi di registrazione. Se in Italia aprire un’impresa è già «un’impresa», perché richiede tempi lunghi e pratiche burocratiche sfibranti, a Stabio si è accompagnati rapidamente e passo dopo passo. Così il trend continua. E da qui a breve anche altri tre colossi come Timberland, Smartwool e Prps, metteranno base a Stabio.
Ampio servizio sui frontalieri e sulle aziende italiane delocalizzate in Canton Ticino sulle pagine della Provincia di Varese in edicola oggi, martedì 8 gennaio
Alessio Pagani
p.rossetti
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