VARESE I carabinieri del reparto operativo di Varese, con il supporto dei comandi Arma di Saronno, Milano, Pescara e San Donà di Piave (Ve), hanno dato esecuzione a otto ordinanze di custodia cautelare (di cui quattro in carcere e quattro agli arresti domiciliari) emesse nei confronti di altrettante persone a vario titolo indagate – in concorso tra loro – per traffico internazionale di armi e di stupefacenti.
Il provvedimento cautelare, emesso dal Gip del tribunale di Milano –
dottoressa Banci Buonamici – ha concluso l’indagine avviata dal Nucleo Investigativo di Varese nel dicembre 2009 e coordinata dal Pm della procura della Repubblica di Milano, Mario Venditti, che ha permesso di individuare l’esistenza di un sodalizio criminale operante principalmente in provincia di Varese, dedito all’importazione, dalla vicina Confederazione elvetica, attraverso i valichi di Brogeda (Co) e Gaggiolo (Va), di ingenti quantitativi di: armi comuni da sparo e armi da guerra, con relativo munizionamento, destinate al clan di stampo ‘ndranghetistico originario di Mesoraca (Kr) riconducibile alla famiglia “Ferrazzo Felice”, gia’ attivo in questa provincia; stupefacenti (“marijuana”, “hashish” e “cocaina”).Per eludere i controlli di polizia e doganali, le armi e lo stupefacente venivano introdotti sul territorio nazionale a bordo di autovetture condotte da una coppia di anziani coniugi svizzeri.In tale contesto, l’attività investigativa ha già consentito di operare quattro arresti in flagranza di reato, di cui uno per tentato omicidio e resistenza a pubblico ufficiale; uno per detenzione munizionamento da guerra e due per per detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti, nonché il sequestro di due pistole mitragliatrici, una pistola semiautomatica, un revolver, circa 500 munizioni vario calibro e complessivi 200 grammi circa di hashish.
A finire in manette sono stati Eugenio Ferazzo, 34 enne di Mesoraca (Kr), figlio del noto capo-cosca Felice Ferrazzo; Francesco Scicchitano, 63enne di Pianopoli (Cz); Antonino Amato, 63enne catanese residente a Gerenzano (Va); Mirko De Notaris, 36enne di Vasto (Ch); Salvatore Ferrigno, 49enne di origini catanesi residente a Uboldo (Va); Cristian Margiotta, 32enne milanese; Alfio Privitera, 54enne catanese residente a Lozza (Va); Donato Santo, 27enne residente a Jesolo (Ve).
Diversi gli episodi criminosi documentati nel corso delle complesse indagini – condotte anche in collaborazione con la Polizia Federale Elvetica – rese particolarmente difficoltose dall’articolato linguaggio criptico utilizzato dagli indagati. Infatti, nel corso delle attività, è emerso costantemente il riferimento – in tema di armi – alla compravendita di “motorini” e “marmitte”, mentre in materia di stupefacenti l’argomento veniva camuffato parlando di “litri d’olio” o di “donne”.
Questi i momenti salienti dell’indagine: il 9 gennaio 2010, nel corso di un servizio di osservazione e pedinamento dei Carabinieri di Varese a Castelnuovo Scrivia (Al), veniva tratto in arresto De Notaris Mirko, il quale non si fermava all’alt intimatogli dai militari in uniforme, tentando – altresì – di investire un Maresciallo della Compagnia Carabinieri di Tortona (Al). A seguito di quei fatti, in un vecchio cascinale di Sale (Al), posto a poche centinaia di metri dall’abitazione di Scicchitano Francesco, venivano rinvenute, all’interno di un borsone: una pistola mitragliatrice di fabbricazione israeliana “Uzi”, cal. 9×21 mm, con silenziatore applicato; una pistola mitragliatrice di fabbricazione italiana “Franchi”, cal. 9×21 mm, con matricola abrasa; una pistola semiautomatica di fabbricazione russa “Tokarev”, cal. 7,65 mm; un revolver di fabbricazione spagnola “Llama”, cal. 38 special; quattrocento munizioni di vario calibro e quattro passamontagna.
Proprio su uno dei passamontagna rinvenuti, a conferma della riconducibilità delle armi sequestrate agli indagati, veniva trovato – tra gli altri – il Dna di De Notaris;
– il 16 marzo 2010, a Genova, nel corso di un pedinamento effettuato con l’ausilio dei Carabinieri locali, a riscontro della consegna di munizionamento appena avvenuta, veniva tratto in arresto Paolo Colliva, trovato in possesso di 50 munizioni cal. 9×19 mm;
– il 18 maggio 2010, veniva tratto in arresto dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Varese, mentre percorreva l’autostrada all’altezza di Dalmine, Donato Santo, il quale, unitamente a Pasquale Malcangi, 28 anni, barese (anche questi indagato), aveva appena ricevuto da Cristian Margiotta quello che doveva essere il campione di “200 litri d’olio”, rivelatisi un “assaggio” di 200 grammi di hashish provenienti da una partita di 200 chili da immettere sul mercato.
Complessivamente, oltre alle armi rinvenute e sequestrate, è stato possibile ricondurre agli indagati la compravendita di ulteriori tre pistole e di un fucile a pompa, di 10 chili di “marijuana” nonché dei citati 200 chili di hashish.
Nel corso delle perquisizioni contestuali alla esecuzione dei provvedimenti, sono stati sequestrati oltre 70 gr. di hashish, 5 gr. di marijuana, 3 proiettili cal. 7.65, 1 giubbetto antiproiettile, 2 baionette e 1 apparato “jammer” per il disturbo delle frequenze di apparecchi atti all’intercettazione di comunicazioni GSM/UMTS e ambientali.
Tra gli indagati, Scicchitano è emerso come figura cardine, non solo perché persona già noto agli investigatori di Varese ma soprattutto per il ruolo di intermediario tra il canale svizzero d’importazione delle armi e i vari acquirenti, tra i quali – oltre ad Amato, Privitera e Ferrigno – vi era Eugenio Ferrazzo, giunto “in trasferta” dall’Abruzzo – dove nel frattempo aveva spostato i suoi interessi criminali- unitamente a De Notaris per acquistare una partita di armi, poi saltata per i fatti del 9 gennaio 2010 di Castelnuovo Scrivia.
Al riguardo, anche alla luce delle circostanze che hanno portato all’arresto di Felice Ferrazzo il 22 luglio 2011 a Termoli – allorquando, all’interno di una vettura custodita in un garage a lui riconducibile, è stato rinvenuto un vero e proprio arsenale costituito da circa 50 armi di varia natura – sono in corso verifiche al fine di accertare se le armi provenienti dalla Svizzera e destinate a Eugenio Ferrazzo fossero in realtà necessarie ad armare la cosca madre, da anni impegnata in un sanguinoso conflitto con il collaterale sodalizio capeggiato da Mario Donato Ferrazzo a seguito della “scissione” avvenuta nel 1996.
La particolare violenza della cruenta “faida” in atto da anni, è ulteriormente testimoniata dal tentativo di omicidio avvenuto nell’estate del 2000 nella località “Campizzi” di Mesoraca, quando Felice e Eugenio Ferrazzo furono raggiunti da una serie di colpi d’arma da fuoco, salvandosi miracolosamente grazie alla blindatura del veicolo.
s.bartolini
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