I Social e le App banditi dagli uffici

Gli uccellini arrabbiati non piacciono alle aziende. E nemmeno le piattaforme, legali, per trasferire qualsiasi tipo di file, video compresi. Per non parlare dei social network, Facebook e Google+ su tutti, bollati come dispositivi che fanno perdere soltanto tempo. E magari rischiano di rovinare l’immagine dell’azienda per qualche commento o sfogo che potrebbe essere scritto d’istinto. Si salva, per ora, Twitter. Mentre sono apprezzate tutte quelle scorciatoie che permettono di ottimizzare tempi e costi: da Google Maps a Skype passando per i lettori digitali dei codici a barre.

Forse sono già finiti i tempi in cui le aziende bloccavano l’accesso a certi siti web. Ora si fissano le regole direttamente per i dispositivi mobili, smartphone e tablet, di ogni singolo dipendente. Non solo scrivendo un elenco. Ma anche realizzando una rete Wi-Fi interna che vieta l’accesso alle applicazioni indesiderate. Installando software che non fanno avviare le app in determinate fasce orarie. Oppure programmini che danno l’accesso soltanto alle applicazioni che servono per lavorare.

Del resto l’andazzo ormai è sempre più questo nell’era del «Byod», «Bring your own device»: vai a lavorare, lo fai usando i tuoi aggeggi, ma ti appoggi ai software dell’impresa. Perché sono più comodi, perché li porti sempre con te, perché li conosci meglio. E perché, almeno a leggere gli studi più recenti, aumenterebbero la produttività.

Dalla «lista nera» dei siti a quella delle applicazioni. L’elenco – diviso in due, uno per il sistema operativo iOs, l’altro per quello Android – l’ha stilato Fiberlink, società americana specializzata nel settore tecnologico-aziendale, in uno studio che ha coinvolto 4.500 aziende di tutto il mondo, comprese quelle italiane. Le più vietate sono le applicazioni di condivisione dei file. Dropbox (oltre 100 milioni di utenti) domina la classifica dei divieti. Seguita dai social network Facebook e Google+, dai servizi di audio e video in streaming (Pandora e Netflix) e da Angry Birds, il gioco con gli uccellini scaricato quasi 2 miliardi di volte.

«Le aziende vogliono garantirsi la massima produttività dai dipendenti», sottolinea Chris Clark, presidente di Fiberlink, «e questo spiega perché ora ricorrano anche a una black list delle applicazioni». Le stesse regole, a dire il vero, servono anche a non farsi sfuggire dati aziendali sensibili.

«La tendenza è la stessa anche in Italia», conferma Paolo Citterio, presidente Gidp, l’associazione dei direttori delle risorse umane. «E non fanno ricorso a regole virtuali, visto che più di qualcuno è stato già licenziato per essere stato sorpreso a passare il tempo su app vietate». In Italia ci si muove su due tipi di approccio, secondo Citterio: «Da un lato ci sono società che decidono di bloccare del tutto l’accesso a certi programmini. Altre non mettono restrizioni, ma ricorrono ai controlli a campione».

Schermata di Facebook, social network tra le principali distrazioni in ufficioSchermata di Facebook, social network tra le principali distrazioni in ufficio

La «black list» non sorprende più di tanto Andrea Castiello D’Antonio, docente universitario e consulente aziendale. «Le imprese, soprattutto quelle del nostro Paese, sono storicamente diffidenti nei confronti dei dipendenti», analizza. Ma aggiunge anche che «le cose ora sono più complicate»,

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