MALNATE Malnatesi degni di lode, malnatesi generosi, riservati che si sono contraddistinti nella loro esistenza per aver salvato vite umane in un periodo terribile della nostra storia. Malnatesi premiati per aver agito in modo esemplare, dimostrando valore morale fuori dal comune. Si tratta di eroi silenziosi, di nuovi Perlasca locali a cui la parrocchia di Malnate domani sera alle 21 consegnerà il premio “Pietre vive 2011”. Il Perlasca nostrano è Eugenio Riboldi, 85 anni, malnatese doc di via Nizza a due passi dal Parco Primo Maggio e dalla stazione.
Tra il 1942 e il 1943, nel pieno del regime fascista, Riboldi accompagnò insieme al concittadino Angelo Vaghi una cinquantina di perseguitati del regime, in particolare ebrei, attraverso la frontiera italo-svizzera. L’allora giovanissimo Riboldi, a rischio della propria vita, nascondeva i fuggitivi a Malnate e poi li aiutava a scappare in Svizzera. Una cinquantina di persone devono la vita a questi coraggiosi malnatesi che incuranti del pericolo avevano dimostrato coraggio, generosità e profondo altruismo. «Più che altro – racconta Riboldi – si trattava di persone straniere, soprattutto ebrei. Non parlavano italiano, mi ricordo solo di una persona, l’unica che parlava la nostra lingua, che ci ringraziò e ci disse che si sarebbe ricordato per sempre di noi». Gli eroici malnatesi avevano allestito una vera e propria rete di solidarietà culminante nel viaggio, soprattutto notturno nonostante il coprifuoco, attraverso la boscaglia: «Attraversavamo la Birlinghina – racconta – poi le Cave fino a Ligurno. Vaghi era il perno di tutto. A Ligurno qualcuno andava a chiamare il parroco don Angelo che era perfettamente informato delle guardie che collaboravano e di quelle che invece non erano disponibili a dare una mano. Arrivavamo davanti alla rete e se non era stato aperto un varco ci pensava il parroco che alzava la tunica e tirava fuori il forbicione per tagliarla. Di viaggi ne abbiamo fatti diversi». Si partiva da Malnate: «L’attuale palestrina sotto il salone dell’oratorio – ricorda Eugenio – era una piccola cappella che veniva utilizzata come rifugio. I perseguitati ci restavano per alcuni giorni fino a quando non ricevevamo il segnale di partenza verso il confine. Poi si partiva a piedi tra i boschi. Il momento buono ci veniva segnalato in un’osteria di Ligurno. Ricevevamo dal parroco il via libera e partivamo. Non c’era paura perché eravamo troppo giovani e inconsapevoli del rischio che si correva. A 85 anni resta la soddisfazione per aver salvato tante persone». Domani sera in parrocchia, in occasione della festa della comunità, accompagnato da letture e testimonianze sulla Shoah sarà presente anche il Rabbino di Milano.
b.melazzini
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