Dopo aver battuto piazza Repubblica, assediato la caserma Garibaldi e demolito il Pgt, la vis polemica degli intellettuali varesini si scaglia contro il parcheggio del Sacro Monte. O meglio, il progetto che vorrebbe costruire un’area di sosta all’altezza della Prima Cappella.
Se ne parla ormai da tempo. Sono già passati alcuni anni da quando Comune, Provincia, Regione e Camera di Commercio unirono le forze promettendo di migliorare l’accessibilità alla Vetta Sacra. Tra le iniziative che dovrebbero trasformare il proposito in realtà, c’è appunto l’ipotesi di un posteggio che faciliti l’arrivo in loco di pellegrini e visitatori.
Il Sacro Monte, dicono le istituzioni, è sì una zona frequentata. Ma non abbastanza. Il borgo è una meta dalle molte potenzialità turistiche ancora inespresse. Affinché il sogno si realizzi occorre che sia pienamente fruibile. E da questo punto di vista, di strada ne resta ancora molta. In tutti i sensi.
A fronte di giornate feriali e invernali, in cui la via delle cappelle è frequentata da pochi coraggiosi, e alla terrazza del Mosè si affacciano solo sparute coppiette di innamorati, esistono periodi dell’anno, specialmente estivi, in cui il Monte è preso letteralmente d’assalto.
Camminatori, fedeli e famiglie imboccano la via sacra, visitano il Santuario, sorseggiano un caffè ammirando l’Infinito. Prima però ciascuno di loro affronta prove estenuanti: lunghe code, parcheggi arditi, multe salate. Per non parlare degli autisti dei pullman, costretti a manovre degne del Camel Trophy.
Ecco, allora, l’esigenza di uno spazio che possa incoraggiare il turismo senza deturpare l’ambiente. Un parcheggio interrato, multipiano, capiente almeno quanto invisibile. Il Comune è convinto della bontà del progetto. La Soprintendenza gli dà ragione. E anche figure super partes, che di Sacro Monte si intendono parecchio, si schierano con Palazzo Estense. È il caso di Andrea Chiodi, direttore della rassegna teatrale che da anni porta in Vetta centinaia di persone e decine di artisti di grido.
Ma c’è anche chi mostra pollice verso. Come il gallerista Emilio Ghiggini, l’agronomo Daniele Zanzi e il “risorgimentale” Roberto Gervasini. I quali hanno formato un comitato per dire no all’operazione, definendola uno scempio.
Sia i favorevoli sia i contrari, come spesso capita, hanno più di una freccia al proprio arco. Ciascuno presenta alcune valide argomentazioni, suffragate, nel caso dei contestatori, da una raccolta firme che il Palazzo ha il dovere di considerare.
Nello stesso tempo, però, il Comitato dovrebbe tenere conto del via libera della (potente) Soprintendenza. Aggrapparsi al “verbo” dell’ente culturale quando esso vieta un intervento, e poi ignorare quello stesso soggetto quando si mostra favorevole, significa usare due pesi e due misure.
Ciò che preoccupa, però, non è tanto la polemica, che ci sta, anche perché aiuta a sviscerare appieno il problema e a fare luce su ogni aspetto della vicenda.
A turbare è piuttosto il rischio di paralisi. Di melina. Di eterno rinvio. È questo il vero nemico del progresso. Un nemico che, negli ultimi anni, ha spesso ingessato Varese. Perciò, cara città, decidi. Dì di sì o di no. Litiga, spiega, confrontati. Ma dì qualcosa. E scegli, una volta per tutte, cosa vuoi fare da grande.
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