Don Alberto, tra l’altare e il palco «Quella volta che portai Dario Fo»

«Sinceramente, non pensavo di fare teatro». Disarmante, nella sua semplicità, il racconto di don Alberto Dell’Orto dei suoi cinquant’anni trascorsi a Gallarate. Anniversario che coincide con il mezzo secolo del Teatro delle Arti.

È dal 27 luglio del 1964, un mese dopo l’ordinamento sacerdotale, che l’attuale parroco di Sciaré si occupa della stagione di prosa e del calendario del cineforum. «All’inizio mi aiutarono gli universitari cattolici della Fuci, la cui presenza a Gallarate era molto significativa», ricorda don Alberto.

Dalla sua casa di Sciaré, immerso tra scaffali colmi di libri che spaziano dalla storia dell’arte a quella del teatro, il sacerdote racconta alla Provincia cinquant’anni trascorsi tra l’altare e il palcoscenico. «L’attività pastorale ha sempre avuto la precedenza», ci tiene però a precisare.

Anche per questo delle migliaia di film trasmessi durante le quasi cento edizioni del cineforum «io ne ho visti proprio pochi. Le proiezioni coincidevano con gli incontri con i giovani». E così don Alberto apriva la sala e poi tornava in tempo per le scene finali e i titoli di coda.

Si rifà ogni anno durante quei dieci giorni di vacanza che si concede a Sanremo. «Ogni sera andiamo al cinema. O a teatro, se c’è qualche spettacolo».

Sì, perché alla pellicola l’animatore delle Arti ha sempre preferito gli attori in carne ed ossa. Anche quando erano scomodi o visti con ostilità dalle gerarchie ecclesiastiche. Come , che don Alberto ha portato tre volte sul palco di via don Minzoni. Una volta con “Gioan padan a la descoverta de le Americhe”, una con “Lu santo jullare Francesco”, una addirittura con “Mistero buffo”, ispirato ad alcuni brani dei vangeli apocrifi.

«L’avevano presentato come una polemica contro la chiesa, io invece ritenevo che fosse un’esperienza teatrale tutt’altro che anti-ecclesiale», racconta, «ad eccezione dell’episodio su Bonifacio VIII non c’era nulla di male. C’era anzi la visione di un Cristo molto popolare, di un Gesù buono, figlio di Dio».

Certo, non tutti i parrocchiani erano sempre d’accordo: «qualcuno dissentiva, ma non c’era nessuna avversione». Nemmeno da Milano arrivò mai una reprimenda. Anzi, «ho sempre avuto il sostegno bellissimo del cardinale e del vicario monsignor . Avevano capito che qui c’era una proposta culturale tutt’altro che settoriale». E l’hanno sostenuta.

Sfogliare l’album dei ricordi di don Alberto è come leggere la storia del teatro italiano contemporaneo. Grazie a lui da Gallarate sono passati , , , .

Ad affiancarlo nella direzione artistica c’è dal 1967 il centro culturale Teatro delle Arti. E ci sono persone come , , i coniugi e , e , per qualche anno anche .

Cinquant’anni sul palco, «eppure non pensavo di fare teatro. Solo, mi hanno mandato in un oratorio speciale come il centro della gioventù, che aveva al suo fianco un cinema». E Gallarate ancora ringrazia quel vescovo che indirizzò qui don Alberto.

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