La bugia di Dene è da perdonare

Ci sono bugie e bugie. E quella di Dene va perdonata.

Un paio di settimana fa abbiamo raccontato la sua storia. Ci siamo commossi noi in redazione e si sono commossi i lettori. Non poteva non essere così: leggere di un uomo che a 77 anni perde moglie, figli, nipoti e casa a causa dell’alluvione che lo scorso maggio ha devastato il suo Paese (la Serbia) non può non toccarti il cuore. E leggere poi che una volta perso tutto decide di vivere quello che gli resta a Varese, città sempre sognata grazie ai racconti di qualche conoscente, non può non farti scendere almeno una lacrimuccia. Se poi, come ci ha raccontato Dene, scopriamo che per sopravvivere è costretto a dormire in macchina e a chiedere l’elemosina, il suo vissuto si trasforma in una di quelle storie tristissime che ti rimangono dentro, ben oltre i pochi minuti necessari per leggerla.

Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo, la pagina Facebook del nostro giornale viene sommersa di commenti: c’è chi esprime solidarietà, chi rabbia e chi si lancia in disquisizioni sul senso della vita. Ma anche chi smentisce Dene, svelandoci un’altra verità. Ovvero quella di un uomo conosciutissimo in centro, soprattutto nella zona al termine di corso Matteotti, dove l’anziano da almeno tre anni, e non da due mesi, chiede l’elemosina aggrappato al suo bastone e tendendo con pudore il suo cappello.

Insomma, Dene sembra essere un’altra persona e soprattutto il dramma della famiglia sterminata da piogge e inondazioni potrebbe non essere vero. Qualche lettore-utente ci muove una critica (e qui le critiche sono sempre ben accette) molto precisa, che più o meno suona così: se avete l’ambizione di raccontare la città dovete frequentarla, dovete conoscerla.

Vero. Anzi, verissimo. Ma è altrettanto vero che nell’articolo di Valeria Deste il mendicante gentiluomo sottolineava l’indifferenza dei varesini di fronte alla sua discreta richiesta di aiuto. Indifferenza quantificata nei quattro euro raccolti la sera prima della nostra intervista. Ebbene, alla critica del nostro lettore, rispondiamo che probabilmente siamo diventati così tanto varesini da non accorgerci di Dene pur passandogli di fianco ogni giorno. Ci siamo accorti di lui solo dopo aver letto la sua storia (vera, parzialmente vera o inventata che sia) e mossi da pietà e da senso di colpa lo abbiamo raggiunto e abbiamo volentieri allungato qualche moneta nel suo cappello. Cosa che continuiamo a fare ogni volta che passiamo nella “sua zona”.

Raccontiamo solo oggi, a distanza di giorni, il risvolto di quell’articolo perché abbiamo voluto lasciare a Dene il suo “momento di gloria”. Siamo infatti sicuri che, così come abbiamo fatto noi, molti altri varesini distratti, mossi dalla nostra stessa pietà e dal nostro stesso senso di colpa, abbiano offerto aiuto a quest’uomo dal sorriso malinconico e dall’aspetto curato. Sì, perché, come ci ha detto, ci tiene a mantenere la propria dignità, lavandosi e facendo il bucato appena può, anche a costo di andare nei bagni di Mc Donald’s.

Forse Dene ci ha preso in giro. Forse ha approfittato del nostro interessamento per riuscire almeno a raddoppiare i soliti quattro euro. Forse non ha perso la famiglia, forse non è nemmeno serbo e magari Varese non è mai stata la sua città dei sogni.

A questo punto non ci interessa nemmeno conoscere la verità, perché se grazie a una bugia è riuscito a trascorrere una notte in meno in macchina e a buttare nello stomaco un pasto caldo in più, allora per una volta siamo contenti di avere fatto la figura dei boccaloni. Dei varesini boccaloni.

Federico Delpiano

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