Si poteva dedicare una via, a Ottavio Missoni. Magari una strada a zig zag, elegante ed eccentrica, esotica e colorata.
O gli si poteva intitolare una piazza: magnetica come un arazzo, ipnotica come un pattern ripetuto all’infinito. Una cosa è certa: nessun luogo comune avrebbe potuto essere ribattezzato sotto il nome di Missoni, marchio di fabbrica e nom de famille che universalmente significa genio e bellezza e da queste parti anche affetto, gratitudine e orgoglio.
Non a caso Varese ha deciso di dedicare al patriarca Ottavio, scomparso poco più di un anno fa, quella che è forse la più preziosa tra le sue gemme architettoniche: il parco di villa Toeplitz, che si chiamerà appunto parco Missoni. Una scelta felice, quella annunciata ieri dall’amministrazione.
Perché se è vero che da sempre la toponomastica di una città tende a rendere omaggio ai suoi cittadini migliori, è pur vero che spesso quello delle intitolazioni diventa un esercizio retorico, vuoto, con poca logica e pochissimo cuore. E chissà, magari un giorno sarebbe spuntata in una periferia qualunque una via Missoni buttata lì a caso, buona solo per la burocrazia degli indirizzi, non certo per la geografia affettiva dei ricordi. Stavolta, per fortuna, non è andata così.
Quello di Varese non è un atto dovuto, assomiglia di più ad un regalo scelto con cura. La città ha deciso di consacrare al ricordo dello stilista quanto di meglio ha da offrire in termini di bellezza, tra l’altro in un momento speciale: tra i gioielli di famiglia dell’architettura varesina villa Toeplitz è da sempre considerata una perla, ma proprio in questi giorni è stata selezionata dal network dei parchi più belli d’Italia tra le dieci eccellenze paesaggistiche nazionali.
Che la dimora storica, residenza di campagna di una famiglia polacca, e il suo parco fossero incantevoli si sapeva già, ma il riconoscimento ufficiale ne è un’ulteriore conferma: se il fascino di un luogo si può certificare, quello che i varesini si abitueranno a chiamare parco Missoni – con le sue gradinate scenografiche, i giochi d’acqua, i marmi policromi e i vialetti romantici – ne ha tutti i crismi.
E piace pensare che anche Ottavio avrebbe apprezzato il genius loci della villa, eclettica, elegante, rigorosa ed eccentrica insieme. Una scelta azzeccata, quindi, e in fondo semplice: è bastato seguire il filo che lega le cose belle. Quasi mai un filo diretto, più spesso un filo d’Arianna, che segue percorsi labirintici e disorientanti, o magari percorsi zigzaganti, come quelli intessuti nelle trame diventate il marchio dello stile Missoni, fin dalle primissime collezioni prodotte non a Sumirago ma a Gallarate, in un capannone che Ottavio e Rosita avevano preso in affitto. Un filo conduttore, quello delle righe, dello zig zag, dei motivi geometrici, che si snoderà stagione dopo stagione e anno dopo anno, restando fedele a sé stesso, perché lo stile è prima di tutto questione di coerenza.
Righe e colori che hanno fatto il successo di Missoni e che lui, poco incline ad autoincensarsi e bravissimo nell’arte di non prendersi sul serio, spiegherà così: «La verità è che all’inizio avevamo a disposizione macchine molto semplici che potevano fare solo righe… così siamo diventati quelli delle righe». Come fanno artisti e artigiani, che con quel che hanno sanno fare miracoli.
Laura Campiglio
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