Bellissima, quest’estate: bellissima davvero. Un sogno. No, non abbiamo le traveggole e nemmeno abbiam bevuto troppo: queste settimana di pioggia e fresco sono state una benedizione. Certo: adesso tutti quelli che l’altro giorno si sono visti piovere in testa la bomba d’acqua ci staranno mandando al diavolo. Premessa: avete tutto il diritto di farlo, ci mancherebbe altro. Però quando la sera andiamo a letto e ci copriamo con un lenzuolo in più perché “in fondo ci vuole” non riusciamo a fare a meno di pensare una cosa: che bellezza.
Che bellezza senza l’odioso e appiccicaticcio caldo africano che solitamente ci devasta nei mesi estivi, regalando notti insonni a sudare al minimo movimento. Che a letto si fa fatica a dormire, figuriamoci a fare altro. Che bellezza potersi sedere la sera in giardino o sul terrazzo, magari mettere su una maglia in più, senza dover però combattere con orde di zanzare assassine che manderebbero fuori di testa anche San Francesco d’Assisi (ai suoi tempi la zanzara tigre non c’era ancora: garantito). Che bellezza poter andare a correre sulla ciclabile senza dover uscire di casa alle cinque per evitare di collassare sotto il sole assassino. Che bellezza vedere il prato del giardino verde (e non secco) e le verdure dell’orto sane e gonfie (tranne i pomodori, maledizione). Già, che bellezza.
Ma sì, stiamo esagerando: sorridete, amanti della calura che in queste settimane state infestando le bacheche di Facebook con le vostre lamentele monotematiche. Sorridete, che tra qualche giorno la calura devastante arriverà (e poi, su Facebook, vi lamenterete del troppo caldo: vero?). Sorridete, che è tutto un gioco.
Il punto è che abbiamo la memoria corta, ecco cosa. I nubifragi, udite udite, ci sono sempre stati. Anche le bombe d’acqua la grandine? Ebbene sì, fatevene una ragione. Ci sono sempre stati i temporali e le estati «un po’ più fresche del solito», ci sono sempre state le tempeste e gli allagamenti. Ce li ricordiamo, ce li hanno raccontati i nostri nonni, hanno fatto parte della nostra storia e del nostro passato. O no? Certo, venivano vissute in modo diverso. Si accettavano come eventi dannosi e devastanti (un raccolto distrutto, un tetto danneggiato: potevano significare anni di miseria per intere famiglie), si combattevano con la preghiera (quando stava arrivando un temporale di quelli pesanti le campane delle chiese dei nostri paesi suonavano all’impazzata per dare l’allarme e richiamare tutti dai campi).
Certo, un tempo era diverso. Non c’erano gli esperti del meteo che oggi pretendono di poter prevedere tutto e quando sbagliano (capita, eccome) si giustificano dicendo che non si può mica prevedere tutto. Non c’era la rete pronta ad amplificare ogni avvenimento spersonailzzandolo e rendendolo subito spettacolo. Non c’era Facebook, capace di dare la voce alla noia di vacanzieri insoddisfatti buoni a farsi largo tra “selfie” e status scopiazzati in giro.
E non c’era la voglia di buttare sempre tutto in vacca, tutto un gioco: sempre e comunque. Perché oggi quando viene giù un nubifragio si ride su internet tirando in ballo l’Arca di Noè. Una volta no. Una volta, appena passata la tempesta, ci si trovava fuori dalla chiesa, ci si abbracciava, e si faceva la conta dei danni. E poi tutti quanti si andava ad aiutare chi era messo peggio. Altro che Facebook.
Francesco Caielli
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