Israele ritira il grosso delle proprie Forze, ridispiegandole dentro e fuori la Striscia, ma non per questo il conflitto con Gaza si attenua. Anzi, ieri in mattinata, in una nuova fiammata di scontri, un razzo è finito davanti il cancello principale di una scuola dell’agenzia dei rifugiati Onu (Unrwa) a Rafah, facendo almeno dieci morti. Un attacco che il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon – dopo aver sottolineato che Israele è stato «ripetutamente informato della posizione» delle strutture delle Nazioni Unite a Gaza – ha definito «un atto criminale» che deve essere «rapidamente indagato». Anche gli Usa – in una nota del Dipartimento di Stato – si sono detti «choccati» per il bombardamento della scuola ed hanno chiesto ad Israele di «fare di più per evitare vittime civili». Israele ha ammesso in serata di aver colpito «tre terroristi della jihad islamica su un motociclo» nei pressi della scuola.
In precedenza il portavoce militare aveva ricordato che 15 colpi di mortaio sono stati sparati sabato in prossimità di una scuola dell’Unrwa dal perimetro esterno della scuola elementare maschile «Shahada al-Manar», a Gaza City. Fatto sta che sotto i raid dell’esercito israeliano – mentre i razzi continuano a cadere in Israele, compreso Tel Aviv e il Sud – il bilancio dei morti è salito nella Striscia: a ieri erano 1.760, con oltre 8.000 feriti. E la situazione umanitaria resta drammatica, con quasi 270 mila rifugiati nelle sole scuole dell’Unrwa, mentre alcuni dati dell’Onu indicano in quasi mezzo milione il numero complessivo.
Nella nuova strategia adottata dal governo di Benyamin Netanyahu in quello che appare un ritiro unilaterale dopo aver distrutto i tunnel «del terrore» conosciuti, sembra restare un’incertezza sulle prossime mosse militari. Alcuni analisti hanno parlato della possibilità di «fasce di sicurezza» dell’esercito all’interno del territorio di Gaza. Fatto che dipenderebbe, hanno aggiunto, soprattutto dalle prossime scelte di Hamas, una volta che il grosso delle truppe israeliane sia al di là del confine. Ma un portavoce militare non ha confermato né smentito, limitandosi a dire che «allo stato attuale l’esercito si sta ridispiegando in base alle necessità di sicurezza» e «allo sviluppo della situazione».
Da ieri tra i 64 soldati di Israele morti in battaglia c’è anche ufficialmente Hadar Goldin, l’ufficiale che l’esercito ha dato in un primo tempo per rapito da Hamas e di cui invece si è accertata la morte nei pressi di Rafah in uno scontro con i militanti della fazione islamica. Hamas ha accusato Israele di aver «ingannato il mondo» con la notizia del rapimento «in modo da infrangere la tregua di 72 ore dell’Onu e degli Usa e per commettere il massacro di Rafah».
Nel fragore delle armi, la diplomazia è sembrata parlare soltanto al Cairo, dove le fazioni palestinesi – nell’assenza voluta di Israele e grazie alla mediazione egiziana del presidente Al-Sisi – hanno posto le basi per un difficile negoziato indiretto «in tre fasi», con lo Stato ebraico per un cessate il fuoco a Gaza e una soluzione della crisi all’origine del conflitto. La scelta di non essere al Cairo – adottata da Benyamin Netanyahu dopo l’ultima tregua andata in pezzi in poche ore venerdì scorso – però non è stata apprezzata da tutti: sia il partito di sinistra Meretz sia i laburisti hanno criticato la decisione. Il ministro della Giustizia, Tipzi Livni, ha invece calcato la mano sul fatto che ci sia «bisogno di un cambio a Gaza», invocandone la possibilità attraverso «accordi internazionali che discutano la smilitarizzazione e il ritorno del presidente palestinese Abu Mazen».
Un fatto difficilmente realizzabile – è stato fatto notare – se non si è presenti al Cairo. Ma Netanyahu, che tuttavia secondo un sondaggio della tv continua ad avere l’appoggio della maggioranza degli israeliani, è stato attaccato anche da destra: il ministro del Turismo Uzi Landau (del partito ultranazionalista Israel Beitenu) ha evidenziato che «gli attacchi delle Forze armate a Gaza ancora non hanno avuto successo nel danneggiare Hamas».
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