In un anno ha scalato il Pd ed è arrivato a Palazzo Chigi ma non vuole perdere lo spirito del pioniere. Matteo Renzi apre la quinta edizione della Leopolda, trasformata in un garage proprio per emulare Steve Jobs e i tanti giovani che, partendo da un’idea, sono riusciti a cambiare il mondo. Senza paura di paragoni, il premier crede ancora di poter cambiare l’Italia. «Eravamo un’allegra brigata di sognatori, ora siamo qui e non molliamo», garantisce mettendo una diga tra la Leopolda «dove si propone» e la piazza della Cgil «dove si protesta». «Si protesta contro il governo, contro di me», dice il premier, ma non ci fermeranno.
Mezzo governo parteciperà alla due giorni di dibattiti ed interventi dal palco nella vecchia stazione fiorentina. Alcuni ministri, come Giuliano Poletti, parteciperanno anche ai tavoli di discussione e di confronto con i cittadini, che per il premier sono l’anima della kermesse. Fucina negli anni scorsi, si vantano i renziani, di proposte e idee che poi sono diventate programma di governo.
Reduce da Bruxelles e dalla battaglia con l’Ue sui conti pubblici, Renzi si è catapultato alla Leopolda senza neppure passare da casa. «Oggi si torna a casa ma solo per ripartire», cinguetta su Twitter il premier già proiettato sulla kermesse simbolo della battaglia rottamatrice che ha lanciato il sindaco di Firenze sulla scena nazionale. E pur davanti alle responsabilità di governo, Renzi non sembra aver perso la voglia di cambiare le cose privilegiando più gli strappi e le rotture che le mediazioni.
Il difficile rapporto con i sindacati è il simbolo del metodo del premier che non vuole piegarsi ai riti dell’establishment: si ascolta tutti ma alla fine è il governo a decidere. Contro questo stile, oltre che contro i contenuti del Jobs act, la Cgil è convinta di portare in piazza, oggi, centinaia di migliaia di persone. E una larga fetta della minoranza Pd, da Stefano Fassina a Pippo Civati, da Cesare Damiano a Guglielmo Epifani, oggi sfileranno per le vie di Roma contro le politiche del governo.
Renzi, però, non sembra affatto preoccupato dalla contrapposizione nè teme che la Cgil offuschi la sua Leopolda o peggio l’attività di governo. «Ho grande rispetto per la manifestazione della Cgil – sostiene – ma il fatto che Vendola la usi per annunciare uno sciopero generale dimostra come quella piazza si stia caricando di grandi significati politici. Quella piazza è di protesta sindacale e politica e io la rispetto ma la Leopolda è un’altra cosa: non si protesta ma si propone». È inevitabile, osserva il premier, che una piazza sindacale sia anche «contro di me». Ma non saranno certo le proteste a fermarlo. «È finito il tempo in cui una manifestazione blocca il governo e il Paese», avverte il premier alludendo ai veti alzati in passato dai sindacati contro le riforme dei governi di sinistra.
D’altra parte la Leopolda è la prova plastica del Pd a cui punta il leader dem: trasversale a età e ceti e oltre le ideologie. Un partito della nazione che faccia il pieno di voti e che vada oltre il bacino elettorale tradizionale della sinistra, dove gli iscritti della Cgil facevano una parte da leone.
Ma se la Leopolda è il simbolo del Pd di Renzi, spicca l’assenza della sinistra del partito: ci sarà il ministro Andrea Orlando e qualche esponente dei «giovani turchi» ma il resto della minoranza, domani, o sarà in piazza con la Cgil o, come Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, altrove. Ma non a Firenze.
La prima Leopolda di governo ieri ha solo scaldato i motori. I giochi, quelli veri, cominceranno oggi, con i tavoli di discussione, gli interventi dal palco e, soprattutto, quello del padrone di casa, Matteo Renzi, proprio nel giorno in cui la Cgil sfilerà a Roma contro di lui.