«Certi episodi e le mancanze che evidenziano mettono in pericolo l’immagine stessa di Varese. Il rischio è quello di perdere appeal, soprattutto oltre confine».
C’è profonda amarezza nelle parole di , in piedi davanti al suo negozio di calzature a neanche 48 ore di distanza dal brutto episodio di vandalismo che ha avuto come sfortunata protagonista la sua proprietà.
Come un capitano che non abbandona la nave nemmeno dopo i marosi della tempesta, sta controllando i lavori di ripristino delle vetrina, infranta nella notte fra sabato e domenica: un danno non indifferente, vista la necessità di sostituirla integralmente e con un materiale che si dimostri ancora più sicuro che in passato.
Nel mentre transitano tanti clienti e conoscenti: il marchio Figini Varese è conosciuto ed apprezzato e tutti hanno per lui una parola di conforto o un sentimento di condivisione della rabbia: «Che cosa è successo, Enrico?» si chiedono preoccupati.
Un vetro rotto si aggiusta, anche se significa mettere mano ad un portafoglio già fin troppo sondato in quest’epoca particolare. Quella che più si fatica a rattoppare è la ferita al cuore di chi a marzo ha messo in piedi una nuova società
per portare avanti un’attività storica, di chi decide ancora di investire nella città di Varese, di chi nella crisi – come tanti commercianti purtroppo sanno bene – è costretto a rimanere a bocca asciutta o quasi perché, correttamente, paga prima i propri dipendenti piuttosto che se stesso.
Ed ora si trova a fare i conti con imprevisti che saranno pure tali, ma nascono in un contesto di degrado, insicurezza ed abbandono: è il sentimento comune di via Morosini.