Sforbicia-Italia è il nome, più mariomontiano che renziano, dell’ultima operazione annunciata dal Presidente del Consiglio. «Interverremo su tutte le sacche di micropotere e sottopotere, santuari finora mai toccati, e non salveremo nessuno», ha detto Renzi. Nel mirino 103 Ragionerie territoriali dello Stato, 103 Commissioni tributarie provinciali, 107 sedi distaccate dell’Agenzia delle Entrate, le Camere di commercio e la vasta e variabile categoria degli enti inutili, che sarebbero, con italica approssimazione, da 500 a 3127. E e poi enti come Aci, Motorizzazioni, Consorzi di bonifica, 32mila stazioni appaltanti,le 4800 società municipalizzate, le direzioni locali del ministero del Lavoro.
Tagliare, abolire. 85mila gli “esuberi”, per i quali più realisticamente si prospetta un futuro in qualche altro ramo della pubblica amministrazione. Si sforbicia davvero o sono solo annunci? C’è un modo per capirlo: leggere il Documento di Economia e Finanza (DEF) e il Piano Nazionale delle Riforme (PNR), cioè i provvedimenti formali, appena approvati dal Consiglio dei ministri, che dovrebbero consentire di passare dalle parole ai fatti. Dal turbogoverno rinnovatore ci si attende snellezza, rinnovamento e chiarezza anche nei documenti ufficiali. E invece, la prima sorpresa: siamo davanti a due tomi ponderosissimi. Più di 700 pagine. Iniziamo male.
Seconda sorpresa: il linguaggio è quello della più rancida burocrazia ministeriale. La terza sorpresa è illuminante: nei testi non sono menzionati gli enti da abolire elencati dal premier e dai ministri nelle comunicazioni mediatiche. Quarta sorpresa: i due documenti sono in gran parte un elenco di provvedimenti dei governi Monti e Letta, peraltro in larghissima parte ancora da attuare.
Il senso dell’operazione sforbiciatrice comincia a diventare chiaro: uno spot pubblicitario. Il sottosegretario Delrio, naturalmente in un’intervista, aggiunge altro colore allo spot: bisogna tagliare le retribuzioni dei vertici degli organi costituzionali e della magistratura, ma su questo “aspettiamo i fatti”. Ma come? Chi deve produrre i fatti se non il governo? Non con interviste, ma con provvedimenti. Al contrario, il Def e il PNR sono quel catalogo di opere incompiute e di generici propositi che può apprezzare chiunque abbia il masochistico coraggio di leggerlo senza cadere nel sonno profondo: un pericolo ipnotico che Delrio non corre, poiché ci fa sapere di essere «un sottosegretario che dorme poco: non supero le cinque ore».
Parafrasando Churchill, si può dire che i tagli prospettati dal Governo sono un annuncio avvolto in un proclama che sta dentro a un comizio. Diventa perfino inutile, a questo punto, soffermarsi sui singoli enti da abolire.
Più utile, forse, fare un salto indietro nel tempo. Corriere della Sera, 25 febbraio 1994: «Il vento delle privatizzazioni scuote il grande arcipelago degli enti pubblici non economici. Il riordino della mappa del potere pubblico sarà a tutto campo. Giro di vite nei contributi pubblici. Snellimento degli organi di gestione che farà saltare un bel po’ di poltrone. Il decreto spazia dall’Ente scuole materne della Sardegna all’Erbario tropicale di Firenze. Privatizzazioni: i candidati sono Aci, Aeroclub d’Italia,
Club alpino (Cai), Lega navale, Unione Tiro a segno, Istituto del dramma antico, Istituto per il Medio ed Estremo Oriente, Ente “casa di Oriani”, Ente “casa Buonarroti”, Ente “Domus Galileana”, Fondazione “il Vittoriale degli italiani”, museo della scienza e della tecnica “Leonardo da Vinci”, Unione per la lotta contro l’analfabetismo, Scuola archeologica italiana in Atene, Istituto papirologico “G. Vitelli”, gli enti autonomi Mostra d’Oltremare, Biennale di Venezia, Triennale di Milano, Quadriennale d’arte di Roma. Seguono il Centro sperimentale per la Cinematografia, la Lega per la lotta contro i tumori, l’Unione ufficiali in congedo, l’Ente teatrale italiano, il Centro per il catalogo unico del libro, l’Istituto delle conserve alimentari».
Nulla è cambiato, tutto cambierà.
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