Penalizzazioni, squalifiche e retrocessioni a tavolino sono vecchie quanto il calcio. Cambiano le motivazioni predominanti, figlie delle epoche: una volta succedeva perché le casse vuote costringevano a rinunciare a giocare; poi ci sono state ondate di illeciti geniali e goffi, singoli e di massa (compresi i due Totonero dell’80 e dell’86, Calciopoli del 2006 e l’attuale infinito filone scommesse), più qualche petardo a segno; oggi vanno di moda le inadempienze amministrative e finanziarie.
Non sempre le zavorre della giustizia sportiva hanno rovinato le stagioni. Il campo ha altre unità di misura, la rabbia può diventare surplus motivazionale. In serie A spicca la salvezza della Reggina di Mazzarri, che nel 2006/07 partì da -11, ma si giovò dei tre punti per vittoria. Nell’era dei due punti la scamparono da -5 Bologna e Avellino nell’81, l’Empoli nell’88. Non recuperò il -9 l’Udinese nell’87.
In serie B è successo di tutto e di più: dal 1928 a oggi sono state ben 65 le penalizzazioni inflitte, per un totale di 222 punti, più diverse retrocessioni d’ufficio. Da qui vengono anche le storie più belle. La zavorra più severa fu inflitta nel 1952/53 alla Lucchese, 18 punti per la tentata corruzione di un giocatore del Catania: arrivò ultimissima.
Nel ’60/61 e nel ’63/64 ebbero il -7 Genoa e Brescia per altri illeciti: i grifoni,
appena retrocessi dalla A a tavolino per lo stesso fatto, si salvarono; le rondinelle mancarono la A. Fatale il -5 alla Triestina nell’88 (non sarebbe caduta in C1) e all’Udinese nel ’91 (sarebbe andata su). Con la vittoria pesante, si sarebbe salvato l’Arezzo partendo da -6 nel torneo post Calciopoli, in cui la Juve sanò il -9 (ma ebbe due sconti, prima da -30 e poi da -17) e dominò lo stesso il torneo.
Negli ultimi travagliati anni Ascoli e Bari sono ripetutamente risaliti da abissi oscuri. Il record nel 2012/13: addirittura 8 squadre penalizzate, tra cui il Varese (caso Pesoli), più il Lecce cacciato in Lega Pro senza passare dal via.
Al Varese in tutto sono capitate altre due disavventure: -1 nel 1947/48, per aver bigiato l’ultima giornata a Cagliari perché in bolletta; e l’attuale -4, ancora in fieri.
Di recente, altri -4 sono stati neutralizzati da Pistoiese (2000), Juve Stabia (’12) e Bari (’14). L’anno s corso il Siena è risalito da -8. Insomma, si può fare.
Ma la madre di tutte le imprese, quella entrata nella storia, è firmata Fascetti. Nel 1986/87 la sua Lazio dovette scontare 9 punti per il secondo Totonero: erano i tempi in cui i verdetti si accettavano senza coinvolgere il Tar sotto casa e i politici compiacenti, e con i due punti a vittoria una penalità del genere era quasi una sentenza. Invece l’Eugenio trovò la forza per ribaltare il mondo. Fece fatica, fatichissima. In squadra aveva gente come Terraneo, Gregucci, Camolese e Caso: con i 42 punti presi sul campo avrebbe lottato per la A nella cadetteria più incerta di sempre (11 lunghezze tra la prima delle promosse e la prima delle condannate).
Invece a otto minuti dalla fine dell’ultima giornata, il 21 giugno 1987, era in C1, in un’Olimpico stracolmo (62mila spettatori), afoso e zeppo di fantasmi.
Il Vicenza col pari era salvo, fece muro anche quando rimase in dieci (espulso Montani: sì, lui, quello che poi venne al Varese) aggrappandosi alla partita della vita del portiere di riserva Dal Bianco, uno che non giocava da due anni. Poi, al minuto 82, Podavini scodellò l’ennesima preghiera, il centravanti Fiorini – che fin lì aveva fatto flanella – vinse un rimpallo nell’area intasata e di punta riuscì a toccare nel sacco. Nello stadio ci furono il tripudio e cinque infarti.
Non era finita, perché per salvarsi la Lazio dovette fare anche gli spareggi a tre con Taranto e Campobasso. Perse la prima coi pugliesi, con le spalle al muro fece un altro 1-0 coi molisani, grazie a uno dei rari gol di Poli. L’incubo finì il 5 luglio: i laziali santificarono Fascetti, già beatificato l’anno prima per aver tolto lo scudetto alla Roma col Lecce. L’eroe, Fiorini, è morto di cancro nel 2005.