Alla vigilia del debutto in campionato dell’Unendo Yamamay abbiamo intervistato il direttore generale Massimo Aldera.
Si parte: dopo un mercato così l’Unendo Yamamay non può che partire con l’obiettivo scudetto…
Questo roster è stato pensato per vincere. Le risposte, come sempre, le darà il campo. Ma in estate ci siamo mossi per allestire un organico il più possibile competitivo. Non è stato facile: il momento economico è complicato. In particolare sono stati fatti sforzi importanti per portare a Busto atlete di primo piano come Havelkova e Diouf. Ora riteniamo di avere in organico giocatrici non inferiori a quelle di nessun’altra squadra italiana, anzi abbiamo con noi delle vere e proprie eccellenze.
Devo dire che Busto esercita sempre un certo appeal sulle giocatrici. La società affidabile, un tecnico di valore come Parisi, un contesto gradevole come quello del PalaYamamay, sono tutti ingredienti che favoriscono la scelta di venire da noi. Altrove possono offrire contratti principeschi, ma non hanno questo contorno.
Due situazioni erano note: sapevamo che Perry e Wolosz avrebbero dovuto recuperare dai rispettivi infortuni. L’evento imprevedibile è stato quello di Aelbrecht. Una giocatrice che, almeno sulla carta, ci avrebbe garantito quella presenza a muro che è un po’ mancata in queste prime partite. E sappiamo quanto sia importante per il gioco di Parisi una buona correlazione muro-difesa. L’arrivo di Lyubushkina ci ha permesso di colmare in modo soddisfacente la lacuna al centro.
Quella sconfitta mi è spiaciuta moltissimo perché avevo la sensazione che la Supercoppa fosse ampiamente alla nostra portata. Bisogna comunque riconoscere che Piacenza ha meritato il trofeo. Noi non abbiamo saputo esprimere la necessaria continuità di gioco e abbiamo finito col sovraccaricare Diouf, che quella sera era la più in palla delle nostre. Ma il volley resta un gioco di squadra: un singolo, per quanto forte, non può vincere da solo. Credo sia solo questione di tempo e poi questa squadra troverà un suo equilibrio: il che, ovviamente, passa anche dal recupero delle acciaccate, a cominciare da Havelkova, che è importantissima non solo in attacco, ma anche in seconda linea.
Cominciamo a superare il girone di qualificazione. Poi vedremo, dipenderà anche dal sorteggio. Intanto dobbiamo passare questo primo scoglio, e non sarà facilissimo, perché in questa competizione ogni passo falso può essere pagato a caro prezzo.
Qui bisogna puntualizzare una cosa. Quando si parla del futuro bisogna fare i conti con questioni tecniche, sportive e societarie. E da quelle societarie dipendono anche le altre due. Noi quest’anno abbiamo mantenuto un rapporto importante con Yamamay e arriviamo alla fine del primo ciclo triennale con Unendo. Dico “primo” perché non ho ragione di pensare che non possa iniziarne un altro. Ma bisogna essere chiari: fino a quando non avremo la certezza di poter fare programmi a media-lunga scadenza, è inutile parlare di questa o quella giocatrice.
Presto per dirlo, ci stiamo lavorando. Vede, questa è una società atipica: non siamo finanziati da un patron-mecenate. Qui c’è un gruppo di amici che riesce a fare volley con i soldi che gli sponsor decidono di investire. Grazie al lavoro fatto negli anni scorsi, c’erano le condizioni per coprire il budget per questa stagione. Bisogna vedere se queste condizioni si ricreeranno anche per i prossimi anni. A quel punto anch’io dovrò decidere se continuare il mio impegno o meno. Detto questo, a me piacerebbe senz’altro trattenere qui a lungo Diouf, Havelkova e tutte le altre nostre giocatrici simbolo, ma la priorità è la definizione degli aspetti societari.
Il successo dei Mondiali è la cartina di tornasole del potenziale del volley. Certo, non bisogna pensare che ne derivi un interesse automatico per le squadre di club. Ma l’attenzione mediatica di cui stanno godendo le azzurre, in particolare Diouf, può davvero servire ad avvicinare al volley tanti giovani atleti e tifosi.
In Lega ci sono validi professionisti. Poi, come sempre, i riscontri saranno dati dai fatti. Credo però che le prime a muoversi in questo senso debbano essere la società. Sono principalmente i club che devono darsi da fare, cominciando a sviluppare dei progetti sul volley di base e potenziando la comunicazione. Noi lo facciamo da anni, senza aspettare input dell’alto. Tutto questo alla fine porta spettatori e nuovi appassionati. Ma ci vuole tempo: quando sono arrivato, al PalaYamamay (che non si chiamava ancora così) c’erano 200 spettatori.
Di sicuro si può fare volley, anche se non lo facciamo con soldi bustocchi, vista la provenienza dei nostri sponsor. Con l’amministrazione comunale si è creata una buona sinergia: ci hanno sostenuto e, insieme (tramite Agesp Servizi) abbiamo trasformato il PalaYamamay, facendolo diventare quello che è adesso. Peraltro credo anche che non sia obbligatorio che una società sportiva debba essere per forza sostenuta dall’imprenditoria di quella città: prima bisogna offrire un progetto serio e una prospettiva. Noi abbiamo trovato degli interlocutori disposti a finanziare i nostri sogni. Ma quando si è trattato di mettere quei sogni in pratica, ci abbiamo messo impegno, lavoro e risultati.
Non vedrei quest’esclusione in chiave così negativa. C’erano delle regole, e chi non le ha rispettate ha pagato. Bisogna avere il coraggio di tagliare i rami secchi. Farlo a stagione in corso avrebbe falsato il campionato, ma la decisione è arrivata prima: dolorosa, ma giusta.