È ufficiale: la guerra del contrassegno nazionale è iniziata.
Con la scintilla accesa da una serie di controlli delle forze dell’ordine italiane, a ridosso della frontiera con il Ticino.
Nel mirino l’obbligo del marchio adesivo «CH» sulle vetture elvetiche in transito in Italia, ma pure negli altri Paesi dell’Unione europea. Obbligo che continua a far discutere e a sollevare malumori e interrogativi, tra gli automobilisti ticinesi e soprattutto tra coloro che sono stati multati. L’obbligatorietà del simbolo, che in Svizzera da oltre 20 anni non è più necessario, ha colto gli automobilisti di sorpresa. Il problema è reale e da anni è conosciuto dal Touring club svizzero,
soprattutto per quanto riguarda le regioni di confine. Quest’anno il periodo è coinciso con il rincaro dell’importo della multa da 72 a 84 euro. Ma questo è il minimo previsto per legge. Il massimo invece può raggiungere i 335 euro. «Se uno non paga – fa sapere , portavoce del Tcs -, dopo il primo richiamo l’importo aumenta a 140 euro e la procedura può arrivare a 335 euro». La multa, deriva dall’applicazione dell’articolo 37 della Convenzione di Vienna sulla circolazione stradale che recita: «Ogni autoveicolo in circolazione internazionale deve recare nella parte posteriore, otre al proprio numero di immatricolazione, un segno distintivo dello Stato in cui è immatricolato». Ma le auto italiane, e dell’Unione, sono al riparo. «L’obbligo del contrassegno c’è anche in Svizzera, ma vale il simbolo riportato sulle targhe» confermano dalla polizia cantonale. Ma «controlli di questo tipo non vengono quasi mai organizzati». Per questo si invocano, in Ticino, rappresaglie. Con gli esponenti della Lega dei Ticinesi che, per ripicca, vogliono più controlli sui veicoli italiani. «Visto che è possibile – spiegano – che un numero elevato di autoveicoli immatricolati in Italia possa essere privo di una copertura assicurativa valida».
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