«La mia pedina preferita è l’alfiere, perché può fare più mosse». Matteo Andreotti, 11 anni, ha idee chiare sotto una testa piena di ricci. Quando è di fronte alla scacchiera non sta lì a fantasticare su torri e cavalli, su favole ed eroi, ma guarda al sodo. E soprattutto pensa alla mossa giusta per fare «scacco matto» all’avversario.
Con uno così non si può mica tanto scherzare. E del resto una ragione ci sarà se si è aggiudicato il secondo posto individuale nel torneo di scacchi di Milano, un’iniziativa pensata per gli studenti delle scuole che, alla pallacanestro e al calcio, prediligono lo sport degli scacchi.
Il torneo – con classifiche diverse per giocatori maschi, femmine, a squadre e individuali – era stato pensato a misura di studente, con partite che potevano durare al massimo mezz’ora per giocatore, e non intere giornate come da tradizione. «Avevo già partecipato lo scorso anno allo stesso torneo, ma mi girava la testa dall’emozione – racconta Andreotti, che frequenta la quinta A alla scuola Marconi – Questa volta, invece, sono andato più preparato, convinto che avrei potuto farcela».
Il giovane ha imparato a giocare a scacchi grazie a Luigi, padre del compagno di classe Dario. Un genitore motivato, che ha messo insieme un gruppo di bambini affascinati dalla scacchiera bianca e nera per introdurli a questo gioco in via di estinzione, perché sono sempre meno le persone che vi si dedicano con passione.
«E’ stato Luigi a insegnarci tutte le mosse. Dopo aver appreso i rudimenti è arrivato il momento degli allenamenti. Perché gli scacchi sono uno sport vero e proprio – spiega Matteo – Ci siamo dati appuntamento tutti i mercoledì per un’ora dopo la scuola. Alla fine eravamo stanchi come dopo qualsiasi altro allenamento».
La pratica, però, Matteo l’ha fatta davanti al computer: «sfido il sistema elettronico, i compagni di classe a distanza, altri giocatori. Una cosa è certa: non posso giocare con i miei genitori perché loro non sono capaci. Ho tentato tante volte di insegnarglielo, ma niente. Quello che imparano se lo dimenticano subito dopo».
E ancora: «Gli scacchi sono uno sport che richiede tanta capacità di concentrazione, ma le soddisfazioni sono garantite. E i risultati arrivano anche sui quaderni dal momento che chi è capace di giocare a scacchi se la cava bene anche in logica» conclude lo studente. A casa Matteo conserva la sua bella medaglia. Ma le soddisfazioni più grandi arrivano quando riesce a battere l’avversario. Altro che playstation: con gli scacchi bisogna far funzionare il cervello. E non solo. «Giocare a scacchi richiede strategia, tattica e lealtà – spiega Francesco D’Aulisa, vicepresidente della scacchistica di Varese –Dopo due o tre ore si comincia a fare davvero fatica. Ma allenare la concentrazione consente di raggiungere buoni risultati nello studio, specialmente in matematica. Inoltre, giocare a scacchi insegna a trovare un modo per uscire dalle difficoltà».
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