I restauratori della galleria Vittorio Emanuele di Milano lanciano la sfida: «Il futuro è la conservazione programmata dei monumenti. Noi ci crediamo. E assumiamo». È di Gallarate una piccola impresa che, puntando tutto sulla qualità, compie grandi imprese.
Da un’attività artigianale fondata più di 150 anni fa, nel 1854, diventata società dal dopoguerra per volontà di Innocente Gasparoli, la Gasparoli srl tramanda di padre in figlio l’antica tradizione di famiglia del restauro: oggi a guidarla sono i tre fratelli Guido, Paolo e Marco, eredi di Innocente, con Michele, figlio di Paolo e nuova generazione inserita in azienda.
Il “marchio” Gasparoli si cela dietro alcuni dei più celebri monumenti di Milano e del Nord, curati e restaurati. E oggi è protagonista dell’impresa che, in tempo per Expo 2015, riporterà agli antichi splendori la galleria Vittorio Emanuele di Milano, con un intervento finanziato da Prada e Versace che il prossimo 7 aprile permetterà di celebrare degnamente i «150 anni dalla posa della prima pietra alla presenza del Re e dell’architetto Mengoni, che la progettò e la costruì con un modernissimo spirito da “design and build”», come ricorda Paolo Gasparoli, professore associato di tecnologia dell’architettura al Politecnico di Milano e consulente dell’azienda.
«Siamo piccoli ma solidi – racconta l’ad Guido Gasparoli – nonostante la pesante crisi dell’edilizia, siamo cresciuti e abbiamo aumentato del 10% la forza lavoro». La Gasparoli srl è una mosca bianca nel settore: ha 47 dipendenti in totale, 35 operai e 6 impiegati, «tutti assunti a tempo indeterminato», e sei «in prova» a tempo determinato, con l’intenzione di trattenerli.
«La selezione avviene ancora come nella bottega artigiana di una volta, su segnalazione, con il passaparola – rivela Marco Gasparoli – Nel 99% dei casi queste assunzioni in prova si sono trasformare in contatti a tempo indeterminato».
È la filosofia aziendale, in parte dettata dalla particolarità di un lavoro, quello del restauratore, «che si stratifica con anni di esperienza e di cantieri», come ammette l’architetto Marco Sobrero, assistente del cantiere in galleria, da vent’anni in azienda dopo essere stato studente di Paolo Gasparoli al Politecnico. Ma soprattutto per scelta imprenditoriale votata alla qualità e alla motivazione del personale.
«Nell’edilizia – fa notare Guido Gasparoli – il 96% delle imprese ha meno di sei dipendenti. È un mercato molto parcellizzato, dominato da micro-imprese sottocapitalizzate, che garantiscono poche tutele e scontano problemi di gestione. Ma più un’impresa è strutturata, più è in grado di dare garanzie ai propri committenti. Vale a maggior ragione nel caso del restauro, che è un intervento che comporta grandi responsabilità».
Per Gasparoli è una necessità: «Abbiamo anche una carta dei valori aziendale. Nel nostro campo non è una consuetudine, ma dovrebbero fare tutti così».
L’impronta della qualità contamina ogni aspetto dell’attività. La Gasparoli srl vanta la certificazione Iso 9001 dal 1997, tra le prime aziende, oltre ad avere le certificazioni Soa per il restauro di beni architettonici e beni sottoposti a tutela.
Gli investimenti in sicurezza, prevenzione (come i corsi specializzati per lavorare su funi) e formazione del personale fanno parte della cultura aziendale.
Le assunzioni, in controtendenza, sono un segnale di fiducia nel futuro, anche se Gasparoli opera nella cultura, quel settore con cui «non si mangia», secondo un ex ministro. «La nostra sfida è la conservazione programmata dei monumenti – sottolinea Paolo Gasparoli – Lo diceva già Ruskin nella metà dell’Ottocento: “Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti e non avrete alcun bisogno di restaurarli”. Ma non lo si fa. Noi investiamo in quella direzione, con la speranza che il mercato si apra. Costa molto meno riparare delle tegole per evitare infiltrazioni d’acqua, piuttosto che restaurare un affresco su una cupola».
La scommessa di Gasparoli potrebbe essere decisiva in un Paese che «ha un patrimonio sterminato di 500mila edifici soggetti a tutela – spiega il professor Paolo – Vista l’esperienza del Colosseo, che è costato 25 milioni di euro per una superficie che è un decimo di tutti i Fori Romani, non avremo mai i soldi per restaurare tutto, perciò occorre aguzzare l’ingegno e puntare sulla prevenzione, anche se dà ritorni a lungo termine che non fanno immagine».
Andrea Aliverti
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