«Vorrei vedere in campo giocatori capaci di dare l’anima, simboli nei quali il pubblico possa tornare a identificarsi».
Marino Zanatta parla di Varese e del basket italiano, in balia di stranieri che cambiano città, casacca e magari nazione, anche più volte nella stessa stagione, e sempre più avaro di talenti nati o cresciuti a casa nostra. «Perché ai miei tempi, quando andavi a giocare contro Cantù, sapevi che ti saresti trovato di fronte Marzorati e Recalcati, mentre oggi, se i giocatori si scambiassero le maglie nel tunnel prima della partita, gli spettatori farebbero fatica poi a riconoscere quelli per cui tifare».
E un certo sforzo in questo senso dovranno farlo anche i cuori biancorossi, dato che è ormai certo che i volti saranno tutti quanti nuovi. «E ciò che io auguro a Pozzecco è di avere la possibilità e la fortuna di trovare uomini nei quali rispecchiarsi, perché l’aspetto umano conta e non poco».
La prima scelta compiuta dalla società, riguardo proprio al tecnico a cui è affidarsi, è però quella giusta. «Il Poz è un ragazzo che merita affetto e stima» sottolinea Zanatta, che in comune con il nuovo coach biancorosso ha il fatto di aver vinto (e anche molto più di Pozzecco) con la maglia di Varese addosso. «Ho seguito con piacere quanto di buono ha fatto a Capo d’Orlando e trovo positivo il fatto di ripartire da un giovane emergente».
Con la consapevolezza che i tempi d’oro sono lontani. «Varese non è più un top club, in quanto a risorse, ed è giusto che anche il pubblico ne prenda atto, perché una stagione straordinaria come quella vissuta con gli Indimenticabili equivale quasi a un 6 al Superenalotto. Però lo spazio e il modo per reperire sul mercato gli uomini giusti c’è eccome, lasciando sì le prime scelte ai grandi, ma sapendo altresì che tante primedonne poi servono a poco, se non fanno squadra».
Da qui, la considerazione sullo spirito con il quale affrontare la nuova avventura. «Il basket fa parte della tradizione di questa città e l’entusiasmo della gente mette inevitabilmente anche un po’ di pressione, ma quello che mi aspetto e che poi significa sostanzialmente divertirsi, a mio giudizio, è il vedere in campo impegno, cuore, giocate che diano il senso dell’attaccamento e dell’essere squadra, anche a prescindere dal posto in più o in meno che si andrà ad occupare alla fine in classifica».
Il tutto senza Banks, Polonara e De Nicolao, che sembravano dover essere i pilastri su cui ricostruire. «Ma in mancanza di un budget certo o importante, ci sta che si voglia costruire una squadra che costi complessivamente meno» sottolinea Zanatta.
«La cosa fondamentale, per il basket nel suo complesso, sarebbe quella di tornare a schierare bandiere, giocatori in cui un’intera città possa identificarsi, restituendo quell’appeal che ora manca. La soluzione non è quella di inseguire il più forte, col rischio di svenarsi, perché è il movimento che deve vincere».
Il libero mercato porta però anche a queste conseguenze. «Per questo quindi ci vorrebbero un tetto agli ingaggi, più italiani in campo e un lavoro sui settore giovanili che punti non al risultato immediato ma al crescere i giocatori di domani» conclude Marino Zanatta.
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