La prevenzione non ha funzionato, se è vero che a dispetto del suggestivo slogan “Non fate gli sbronzi” della campagna di alcol prevention i ragazzi sono risultati sbronzi eccome, nella misura di uno su tre, alla raffica di alcol test a cui la polizia locale li ha sottoposti sabato sera a Varese. Né può funzionare la sola repressione se nulla, neanche la minaccia del ritiro della patente con dramma umano annesso («Mi accompagni e riaccompagni ogni volta che voglio o devo uscire da qui ai prossimi tre mesi?») sembra convincere gli automobilisti a preferire la Coca Cola al Cuba libre. Tante sono state le patenti ritirate in passato (sette solo sabato), altre lo saranno in futuro, senza che la sanzione, pur necessaria, valga il rispetto della norma.
A poco servono le tirate sociologiche sull’annosa questione “giovani & sballo”, un po’ perché i giovani non le leggono (e nessuno di loro, tra l’altro, dice “sballo”) e un po’ perché l’alcol al volante non ha età: il cinquantenne rampante reduce dalla cena gourmet con boccia d’Amarone e liquorino finale sarebbe pericoloso alla guida quanto il ventenne al terzo cocktail.
Che fare, quindi? A ciascuno il suo. Si occupino psicologi e sociologi della nobilissima attività di prevenzione, continuino le forze dell’ordine a sanzionare chi sgarra, qui ci si limiterà ad un modesto contributo alla causa tramite un’accorata ode a una figura tanto bistrattata in patria quanto considerata all’estero: l’amico sobrio, questo eroe dei tempi moderni che passa indenne sotto le forche caudine delle altrui serate alcoliche, carica tutti in auto e li porta a casa. Erroneamente l’amico sobrio è considerato lo sfigato della situazione.
Al contrario, egli ha il privilegio di assistere ogni sabato sera alla commedia umana del divertimento senza pagare il prezzo del biglietto, né quello del beveraggio (che si aggira sugli otto euro a cocktail, mica noccioline). L’amico sobrio ha visto cose che voi umani non potete immaginare: miss liceo spettinata, le scarpe in mano e il trucco sciolto in rivoli nerastri, cantare versioni postribolari delle canzoni dei cartoni animati, il bullo del gruppo singhiozzare disperato per un messaggio su WhatsApp visualizzato e crudelmente ignorato, il campione di eloquenza e self control biascicare barcollando e il timido patologico lanciarsi in uno strip-tease improvvisato.
L’amico sobrio è spettatore e testimone della veritas che gli antichi romani dicevano rivelarsi solo nel vino, il giorno dopo diventa memoria collettiva di tutti quelli che, complici i fumi dell’alcol, hanno rimosso le prodezze della sera prima, ma soprattutto l’amico sobrio è il deus ex machina, colui che interviene quando tutto sembra perduto e assicura il lieto fine a sè stesso e alle persone a cui vuole bene.
Qualora non dovesse bastare, l’amico sobrio esercita sul gentil sesso un fascino ben maggiore rispetto all’ubriaco molesto. Per dire, io l’amico sobrio che una decina di anni fa mi salvò dalle avances troppo insistenti di un tizio alto due metri e alticcio come me, alla fine l’ho sposato. Chissà come sarebbe andata se quella sera lui avesse bevuto.
Laura Campiglio
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