– «Abbiamo lasciato che portassero le guerra in casa nostra. E questo per non aver voluto combatterla in altri Paesi quando era il momento giusto».
Il convegno sul fondamentalismo islamico, organizzato sabato sera dalla Lega Nord, è stato organizzato per affrontare un argomento attualissimo, eppure, in fondo, poco conosciuto.
Perché, come emerge dalle parole di , inviato di guerra del Giornale, , analista internazionale autore del saggio “Divide et impera”, sulla politica estera degli Stati Uniti, e, giornalista più volte inviato in scenari di guerra, l’informazione che arriva in Occidente non è sempre “obiettiva”. E risente dei condizionamenti della politica dell’Unione Europea, a sua volta influenzata da quella americana.
E quest’ultima, fin da prima delle “Primavere arabe”, secondo Micalessin, «si è tutta orientata al pensiero uscito da quei think tank liberal vicini al presidente Obama, la cui tesi era che bisognava appoggiare i Fratelli musulmani, perché vedevano in loro la possibilità che nascesse un Islam moderato e liberale».
Un’illusione, o un grandissimo errore di calcolo. Micalessin infatti evidenzia come «per tutto il Novecento il pensiero dei Fratelli musulmani è stato quello sui quali si sono formati i fondamentalisti».
Una tesi condivisa da Sensini, se non per una differenza che l’analista vuole evidenziare. «Non c’è stata ingenuità da parte degli Stati Uniti – sottolinea Sensini – ma un piano ben congegnato, quello di voler rovesciare i regimi dei Paesi arabi e nordafricani, sostenendo i Fratelli musulmani».
Nelle “Primavere arabe”, l’Italia, come gli altri Paese europei, ha di fatto «colpito quei leader arabi, che tenevano a freno i fondamentalisti». Sul caso di Greta e Vanessa, le due volontarie rapite, liquida il discorso dicendo che si tratta di due «vittime di cattivi maestri, di quel pensiero che vede appunto nei fondamentalisti i “buoni”».
Ed è entrando nel capitolo Isis che emergono gli scenari più “scomodi” e sconosciuti, secondo i relatori, all’opinione pubblica occidentale. «L’Isis, il Califfato, altro non è che Al Qaeda che ha cambiato nome. E il maggior numero di guerriglieri arruolati provengono dalla Libia, dove Gheddafi era l’unico che riusciva a contrastarli. Di fatto, la Libia, e Bengasi, dove è nata la cosiddetta Primavera araba della Libia, è il luogo dove Al Qaeda è più radicata. Questo significa che abbiamo lo Stato islamico a 400 chilometri dalle nostre coste».
Ma la guerra ormai è qui in casa, sostiene Micalessin: «Sono state criticate le missioni all’estero, non abbiamo voluto combattere la guerra nei Paese dove nasceva la minaccia del fondamentalismo ai tempi. Oggi ci ritroviamo i fondamentalisti in casa, li abbiamo fatti entrare noi. E loro vogliono creare anche in Europa un nuovo ordine».
La guerra ci sarebbe, insomma. «Non so se siamo in guerra – ironizza Max Ferrari – perché una guerra va combattuta da due parti. Loro sono in guerra, noi siamo fermi e lasciamo che ce la facciano».
Quindi Ferrari ha fatto un excursus storico, ricordando come le decapitazioni da parte dei musulmani contro i cristiani risalgano fin all’Alto Medioevo, quando assaltavano le coste europee e soprattutto italiane.
E ha raccontato la sua esperienza durante le rivolte nelle banlieue francesi. «I poliziotti svuotavano le armerie e fuggivano di fronte agli assalitori. Di cosa ci stupiamo quindi? Situazioni di degrado avvengono ormai anche in Belgio e Olanda. Per non parlare della Svezia. Ci sono quartiere nelle città europee dove ormai la polizia non entra».