Quella memoria che dura un giorno

L’editoriale di Andrea Confalonieri

Perché ricordare solo per un giorno e dimenticare negli altri 364? Oggi tutti risvegliano la più grande delle memorie per poi dimenticarsene da domani fino al 27 gennaio 2016. Noi vorremmo affiancare alla Memoria odierna quelle memorie più umili e di frontiera da vivere e tenere presenti ogni giorno dell’anno.

Vorremmo che un ricordo fosse per sempre. Ricordare il passato serve a vivere meglio il presente e a sognare un futuro migliore. La memoria è per tutti e di tutti: degli altri, di se stessi, della tua città e del mondo che c’è attorno.
E vorremmo che ci fosse una sola memoria, non adattabile in base alle convenienze di fede, partito, professione, pelle, appartenenza. Memoria della vita (la nostra e la vostra) e non solo della morte.

Memorie non a comando ma senza fili, perdute nell’incoscienza collettiva.

Le memorie degli smemorati come quelli che si scordano la più bella serata dell’anno e d’Italia per i disabili – imparavamo ad essere come loro, e loro come noi -, inventata da Roberto Bof al cinema Vela di Varese finché il vuoto interiore e l’incapacità di dare valore alle cose che contano l’hanno fatta lentamente morire, sopportandola come un peso. Quando la organizzava, volevano salire tutti sul palco portando per mano una carrozzina o accarezzando una protesi.

Quando non la organizza (perché capita anche di sentirsi soli e arrendersi, pur non essendo disabili, se attorno al calore del tuo cuore c’è un silenzio che spegne le fiamme), neppure una persona che conti o una che non conti, che gli dica: «Roberto, ti do una mano io». Se non c’è memoria della vita, figurarsi della morte.
C’è memoria e pro memoria: se la tangenziale o la Pedemontana sono state costruite quasi soltanto con i soldi pubblici e senza il contributo di una banca o di un privato, questa cosa va detta non per dare merito ai politici e torto ai privati e alle banche (o viceversa) ma perché ognuno si possa fare un’idea, magari diversa da quella comune. La nostra è questa: non tutti i politici ad ogni latitudine sono ladri o milionari o corrotti (a volte siamo noi a creare impossibili salvatori di una patria che non può essere salvata se non da noi stessi, salvo poi lapidarli quando non salvano né la patria, né noi, né loro). Altrimenti non si spiegherebbe perché un Marantelli o un Giorgetti possono girare per la loro città e parlare tranquillamente con ex comunisti, ex democristiani ed ex fascisti ricevendo in cambio comunque un gesto di rispetto e riconoscenza. Perché vedono in loro un po’ di sano provincialismo.

C’è anche una memoria ipocrita di chi non ricorda, e non ammette, che i nostri padri, le nostre madri e i nostri nonni di qualunque fede politica, tutti assieme, non avrebbero permesso che il luogo sacro di una città come la vecchia piazza del mercato diventasse una cloaca a cielo aperto dove imperversano da anni regolamenti di conti e spacciatori extracomunitari (piazza della Repubblica o dell’anarchia?). E non avrebbero permesso che nel cuore di Busto Arsizio, non a Medellin, tre carabinieri venissero aggrediti da ecuadoregni ubriachi o che scoppiassero scontri tra baby gang italiane e straniere.
C’è infine una memoria immobile con le mani in mano, o fanfarona, come quella che oggi non ricorda, o finge di non farlo, che questa provincia è la patria del volo e Malpensa il suo unico aeroplano. C’era un tempo in cui a Fiumicino per volare potevano solo alzare la testa verso l’alto e dire con ammirazione e timore: «Quegli aerei arrivano da Malpensa».

Non è campanilismo affermare che Malpensa è l’aeroporto più innovativo e strategicamente vincente, ed è pure bello da vedere: altro che la scatola di Barajas. Di più: Malpensa Express straccia Leonardo Express 100-0. Busto è Busto, Varese è Varese, Gallarate è Gallarate ma solo Malpensa è la città di tutti, una città che vive nelle nuvole e quindi nei sogni. Se solo si fosse chiamato Malpensada e fosse stata spagnola, o Charles de Malpensà, sarebbero scesi in piazza in 100mila per difenderne la grandezza, la dignità, il diritto a vincere e non solo a salvarsi.
Più giorni come questo per tutti, ma se non difendiamo prima di tutto la nostra memoria, celebrare quella degli altri e del mondo è soltanto un atto retorico, una moda, un sentirsi partecipi a comando di un evento che già domani non lascerà memoria di sé.