Le platee dei critici sono superciliose, di regola. Eppure a Venezia nel 1981 alla proiezione per la stampa si alzò a schermo illuminato un sincero applauso quando in “Matlosa” del regista svizzero Villi Hermann a due personaggi riesce di far scattare la trappolina che appartiene ai giochi dello loro ormai lontana prima giovinezza. Il protagonista è interpretato da Omero Antonutti, nella scena applaudita lo affianca il compianto Cleto Cremonesi, l’unico comasco, salvo errore, mai approdato alla Mostra del cinema dall’altra parte dello schermo. La proiezione del film, questo pomeriggio, con cui il Festival di Locarno vuole tributare un omaggio a Carlo Varini, ticinese, da poco scomparso, che di “Matlosa” fu direttore della fotografia, offre l’occasione per parlare con Villi Hermann.
Senz’altro: la questione è più che attuale. La composizione del frontalierato è cambiata. I lavoratori non sono più operai del primario, molti sono impegnati nel settore terziario. I frontalieri sono raddoppiati non soltanto in Canton Ticino, ma anche nelle città di Ginevra rispetto alla Francia e a Basilea per Germania e Austria. E anche le distanze che i frontalieri sono disposti a percorrere si sono notevolmente allungati.
Se ai critici servono delle etichette, a me questa etichetta piace abbastanza.
La scelta degli attori per i film di finzione ticinesi è sempre dettata da molteplici fattori. Siccome in Ticino non abbiamo ancora molti attori cinematografici, facciamo di necessità virtù e cogliamo l’opportunità di estendere la ricerca agli attori oltre frontiera mantenendo lo spirito di territorialità, avendo Ticino e Lombardia, come si sa, una vicinanza non solamente geografica.
Evidentemente non sono molti gli attori italiani che hanno esperienze cinematografiche nella Svizzera italiana, ma aumenteranno grazie alle future coproduzioni.
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Le difficoltà per cui nei film ticinesi bisogna cercare attori e collaboratori anche oltre frontiera si risolvono anche nel reperimento di luoghi simili ai nostri. In “Innocenza” la vicenda si svolge interamente sul lago Ceresio, perciò mi sembrava più che ovvio filmare anche sulle sponde italiane: in questo caso, di Campione d’Italia e nella zona di Porlezza, che ci hanno regalato immagini che testimoniano la vicinanza del territorio ticinese con quello comasco. Del resto facciamo parte di una realtà di frontiera, passare da un paese all’altro è più che naturale, anche per il cinema.
Mi sembrava evidente seguire la coerenza storica dei fatti. Anche in questo caso la vicenda trasborda in Lombardia, è perciò evidente che le riprese non potevano essere effettuate altrove. Però si tratta di una logica cinematografica ed estetica in cui non si sente la presenza di una frontiera, e la si ritrova anche nel documentario ‘Luigi Einaudi. Diario dell’esilio svizzero.
Ho avviato ricerche sull’industria comasca della seta con l’intenzione di sviluppare un documentario, ma per diversi motivi sono stato indotto a sospendere il progetto. Momentaneamente.
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Altroché se esiste, è viva e continua a produrre sia documentari, sia cortometraggi, spesso selezionati nei festival. Inoltre a cadenza biennale ogni due anni tentiamo di produrre la fiction di un giovane regista ticinese.
Penso in quanto regista e produttore di poter attingere ad una libertà ‘totale’: ho la possibilità di scegliere autonomamente soggetti, luoghi, collaboratori, e ho la consapevolezza delle opportunità e dei limiti produttivi. È evidente che con la “globalizzazione” del mondo cinematografico diventa sempre più complesso assumere il ruolo di produttore e regista contemporaneamente, visto lo stratosferico accrescersi di pratiche burocratiche. Gli obblighi cartacei limitano la creatività”.
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