Prima dell’anno Mille, si trova scritto in “Viaggio musicale dei Gitani” di Alain Weber, inizia l’esodo lento ed errabondo della musica.
Un viaggio fisico e mentale tra Mediterraneo ed Europa, dalla Russia ai Balcani, tra violini e ritmi inferociti di Rom e tzigani.
Spazi di improvvisazione
È questa la storia che l’Orchestra Tzigana di Budapest fondata nel 1969 da Antal Szalay (alla direzione e violino solista) racconterà questa sera alle ore 21 a “Musica in Villa “ (ingresso a euro 15 e 10) tra czardas (le danze da taverna della pianura) e verbunkos, le danze caratteristiche degli Ussari e utilizzate in Ungheria per il reclutamento militare.
In realtà, si tratta di forme musicali che sono da considerarsi tzigane solo nella pratica ma non nelle origini e che, da anni, sono state assorbite in ogni programma musical-popolare che si rispetti.
Il pubblico ne va matto e gli artisti, grazie allo spiccato virtuosismo che richiedono queste composizioni, si ritagliano spazi di improvvisazione dove terzine e tempi zoppi passano, come una scarica elettrica, dalle corde degli strumenti ai piedi.
Una sala da concerto, solitamente, non propone e non invita al ballo ma non sarebbe fuori luogo alzarsi dalla sedia e iniziare a “scalciare”. Antal Szalay, che suona il violino da quando portava i calzoni corti e si faceva cullare tra le braccia dei genitori (una famiglia di musicisti ungheresi), ne sarebbe contento.
La musica di queste orchestre, così intimamente radicata nelle radici nazionali, vive e si trasforma grazie all’entusiasmo che sa trasmettere, e che riceve, dagli ascoltatori e dal suo pubblico.
Nonostante sia suonata regolarmente nei caffè e nei ristoranti di Budapest, è musica “nobile” ed elegante che non nasconde una grande raffinatezza sonora ed esecutiva.
Espressione di una cultura meticcia che, sempre secondo Weber, parte dall’Iran del X secolo per poi crescere in una “scia di seduzioni”.
Che ha saputo arricchire tanto il jazz quanto la moderna world music, il suono tzigano appartiene ad un bagaglio enorme fatto di rimandi ed eco ai quali hanno ceduto anche numerosissimi compositori classici.
Gli stessi che Szalay inserisce in scaletta: da Franz Liszt con la “Danza Ungherese n. 5” a Johannes Brahms (canzoni folcloristiche ungheresi) e Aram Kaciaturiam (la famosissima “Danza delle spade”).
Spesso esasperate, con accelerandi spaccadita, le czardas e le verbunkos incantavano “serpenti e uomini” con una bellezza esotica che l’orchestra di Szalay farà rivivere tra sogni e fantasie.
© riproduzione riservata