È un po’ come dopo una sbornia. Sono stati giorni complicati, intrisi di livore, di attacchi e contrattacchi, di dimostrazione di attributi, perfino di cambio allenatore. Il mal di testa è lì pulsante, ma si comincia ad intravedere il mezzogiorno della domenica, col suo pranzo normale e i tutti suoi riti normali. Tradotto e adattato: arriva in sordina il weekend e ci si ricorda che c’è da giocare per davvero. E per il Varese è una buona notizia.
Mettiamo un punto e andiamo a capo. Ci sono fatti da riordinare: mancano due partite a fine stagione regolare; poi, forse, i playout in sfida andata-ritorno.
Altro fatto: il Varese gioca a Novara sabato. Ribadiamo: sabato a Novara, non al Camp Nou. Con rispetto parlando, i numeri raccontano che la truppa azzurra non è certo una corazzata di cui aver paura. Poi ci sarà il Siena, che manco pare il Real (nonostante la sua classifica sia assai più simpatica). Insomma: al netto di tutto ci son due partite che si possono vincere.
Nessuno cada nella retorica del “in questo momento qualunque squadra si abbia di fronte è come essere ai piedi del Gavia”. Non è così, perché le cime Coppi nel calcio non esistono. C’è un dato tecnico da cui partire: sul piano qualitativo il Varese è meglio del Novara. Cioè: se si gioca a calcio – ed è quello di cui deve preoccuparsi la truppa biancorossa – in Piemonte la si sfanga alla grande. Abbiamo troppa fiducia nei piedi (innanzitutto) di Zecchin o di Neto o di Pavoletti o di Forte per non esserne certi.
Se si gioca a calcio, sottolineiamo. Non ci sono modi diversi di affrontare una partita di metà stagione e una con l’acqua alla gola della serie che sfugge. O almeno ciò è quello in cui crede (a ragione) mister Bettinelli, che tutto può essere tranne uno che guarda il calcio con le tinte forti di chi ha pochi argomenti tecnici da far valere. Lo stesso vale per Zecchin, che ha uno spirito delicato quanto lo è il suo piede sinistro. Vogliamo parlare di Neto? Il suo modo di essere e il suo calcio sono un walzer, tanto più lieve quanto più sicuro dei propri mezzi. E il guerriero Corti? Ha mai messo se stesso davanti al bene della squadra? Mai. Soprattutto, ha fatto tutto senza clamori, abbassando lo sguardo.
C’è del buono (se non buonissimo) in questa squadra: la notizia positiva è che non sono risorse da scovare in qualche anfratto. Sono cose arcinote. Piuttosto che credere che d’improvviso la truppa cambi registro per chissà quale fuoco da lotta per la salvezza, vale la pena considerare il tesoro che è già custodito in questo gruppo. Non crediamo alle scosse da rush finale, neanche che Bettinelli (come a volte si dice) serva per togliere alibi ai giocatori. Il neo mister è uno da parole chiare e piane, non è un agitatore di folle; non è manco uno che fa passare il messaggio: ora ci penso io.
Tutto il contrario. Bettinelli ti dice: sei capace di giocare a calcio, ti aiuto a riscoprirlo, ma la farina del sacco è tua.
I giocatori non hanno la coscienza sporca, non hanno alibi da far crollare. Devono solo fare una cosa: giocare a calcio. Il resto è affare di pennivendoli e sedicenti addetti ai lavori che popolano questo mondo.
LUCA IELMINI
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