Gemonio, la crisi bussa all’UsagPresidio dei lavoratori

Gemonio Venti di crisi alla «Usag» di Gemonio, oggi SWK Utensilerie. Con i lavoratori in sciopero, ieri mattina, e un presidio davanti ai cancelli dello storico stabilimento di via Roma. Per chiedere certezze, garanzie e soprattutto cosa ne sarà del loro futuro. Domande tutt’altro che scontate vista la situazione. Con metà dei 350 addetti, divisi tra Gemonio e Monvalle, attualmente in cassa integrazione e voci di smobilitazione di diverse linee produttive sempre più insistenti.

I motivi sono gli stessi che caratterizzano questa crisi globale, ormai diventati un triste ritornello che si ripete su e giù per la provincia come nel resto d’Europa e del mondo: un forte calo degli ordini dovuti al fermo di mercato che ha già fatto saltare quasi tutti i contratti di lavoro a termine e abbinare alla massiccia richiesta di cassa integrazione, il ricorso “obbligatorio” alle ferie arretrate. «In più – chiarisce Giuseppe Marasco della Fim Cisl,

schierata davanti allo stabilimento insieme ai rappresentanti della Fiom Cgil e del Sin.Pa, il Sindacato padano – l’azienda, anche se con i sindacati non si è mai espressa chiaramente, al Comitato Aziendale Europeo, l’organizzazione per la tutela degli interessi dei lavoratori a livello europeo, ha ventilato la possibilità di smantellare tutte quelle linee produttive considerate non convenienti da portare avanti. E questa è una scelta che se attuata si può tradurre con una parola sola: licenziamenti».

Il futuro dunque è tutt’altro che roseo, in un contesto di crisi che lascia intendere come «il peggio debba ancora arrivare soprattutto in termini occupazionali», ma a Gemonio non voglio stare con le mani in mano. Primo perché da queste parti, nonostante i vari passaggi di proprietà, nessuno dimentica l’origine del nome, acronimo dei Utensileria Società Anonima Gemonio, e «secondo perché da queste parti è quasi impossibile, trovare una famiglia che non sia legata, direttamente o meno, con la Usag». «Così – confermano i sindacati – abbiamo scelto di scendere in strada prima che sia troppo tardi. Prima che gli eventuali licenziamenti vengano annunciati, perché già adesso ai lavoratori più vicini alla pensione viene prospettata l’idea delle dimissioni dietro una buona uscita, e in tempo utile affinché di comune accordo con l’azienda e le istituzioni si trovino alternative alla perdita di posti di lavoro».
Del resto, fanno sapere i lavoratori fuori dall’azienda, «in questo futuro che definire incerto è un eufemismo non vogliamo subire solo l’applicazione degli ammortizzatori sociali: vogliamo lavorare». Parole e preoccupazione ascoltate e accolte dagli esponenti politici. Su tutti l’onorevole Daniele Marantelli, del Pd, il senatore Fabio Rizzi della Lega, Dario Frattini del Pdl e il consigliere provinciale Giampaolo Livetti della «Sinistra L’arcobaleno».

f.artina

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