A Gallarate possiede un appartamento, a Roma vive in una casa popolare. E quando il comune gliela toglie, fa ricorso al Tar. Che lo respinge e la condanna a pagare duemila euro di spese processuali.
La vicenda risale al febbraio del 2013, ma la sentenza del tribunale amministrativo regionale è stata depositata solo lo scorso 30 dicembre.
Al centro della vicenda c’è una signora, titolare di una casa popolare in via di Donna Olimpia, nel quartiere di Trastevere.
O almeno, lo era fino al febbraio di due anni fa, quando il Dipartimento per le politiche abitative di Roma Capitale ha annullato l’assegnazione dell’alloggio. Motivo? La signora possiede altri immobili sparsi in tutta Italia.
Due di queste proprietà si trovano proprio a Gallarate, per la precisione al civico 23 di via Marsala. Si tratta di un appartamento su due livelli, al quarto e quinto piano di questa palazzina, composto da 6 vani. E di un garage da 27 metri quadrati al piano interrato.
/>Non è finita. Intestate alla stessa persona ci sono un appartamento da 6 vani più box e cantina a Manziana, piccolo comune della provincia romana, ed una terza abitazione a Santa Teresa di Gallura, paese di mare nell’estremo nord della Sardegna, proprio di fronte alla Corsica.
Proprietà che, secondo le stime dell’Ater, l’agenzia territoriale per l’edilizia residenziale del Lazio, hanno un valore complessivo di 324mila euro. Di qui la decisione di togliere alla donna l’alloggio popolare che le era stato assegnato nella capitale.
La protagonista della vicenda ha deciso però di impugnare il provvedimento e per questo si è rivolta al Tar. Contestando le modalità con cui Ater ha quantificato il valore delle sue proprietà.
E sostenendo che è possibile vivere in una casa popolare anche se si è proprietari di altri immobili. Purché il valore di questi ultimi non superi i 100mila euro.
Argomentazioni che non hanno convinto la magistratura amministrativa. Che, nella sentenza, ricorda come la legge sull’edilizia residenziale pubblica prevede che questi alloggi possano essere assegnati solo a chi non sia titolare di «diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione» su un appartamento «adeguato alle esigenze del nucleo familiare».
I giudici hanno ritenuto che nei tre appartamenti di sua proprietà la donna avrebbe trovato una soluzione abitativa «adeguata» alle sue esigenze.
Per questo anno respinto il ricorso. E hanno condannato la signora a versare 2mila euro per le spese processuali, che saranno divisi tra il comune e l’agenzia per le case popolari.