«La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». È con in testa questa massima di Von Clausewitz, che ho assistito all’assemblea dei lavoratori di Sea Handling.
Quella che ha sfiorato il blocco dell’aeroporto e che ha visto i sindacati nelle vesti di “pompieri”. Rabbia autentica, insomma. Dirompente e contagiosa. Proprio come la guerra. Che non si convoglia, non si controlla, non si incanala. Si scatena e poi va per conto suo. Travolgendo regole e convenzioni. E lasciando macerie. Sono catastrofista? Forse. Ma non credo di sbagliare se dico che lì, a Malpensa siamo solo all’inizio. Al principio di un disagio destinato ad aggravarsi, a meno che la politica non si decida. E non parlo (solo) di quella nazionale, cioè governativa e parlamentare, quindi romana. Parlo della “nostra” politica.
Quella lombarda. Quella che, fino ad oggi, si è mossa in ordine sparso. Ciascuna con le sue rivendicazioni, le sue istanze, i suoi vessilli. Il fallimento del Nord sta proprio qui: nell’incapacità di puntare al bene comune. Nella deprimente rincorsa a tagli del nastro e passerelle, effimeri sprazzi di visibilità da sempre preferiti a prese di posizione (e di coscienza) più lungimiranti. Possibile che mai, dico mai, si siano visti simboli politici diversi, persino contrapposti, sfilare fianco a fianco in difesa di Malpensa? Ci siamo sorbiti cortei di ogni genere, forma e colore. Ma non abbiamo ancora assistito a un vero moto di coraggio. Non abbiamo ancora visto le principali istituzioni del territorio alzare la testa e lo scudo davanti al sistematico impoverimento di uno scalo, delle sue potenzialità, del suo indotto. Il silenzio è stato squarciato qua e là da timidi ululati e nulla più.
Ancora oggi, a pochi mesi da Expo, viviamo un eterno limbo. Inutile incolpare la disastrosa Alitalia, i tentennanti sceicchi, o i burocrati ostili a ogni forma di policentrismo. Prima di dare la caccia all’untore, proviamo a guardare noi stessi. Guardiamo i nostri palazzi e su, fino ai piani alti di Palazzo Lombardia.
Pensiamo alle tante parole inutili, spese in questi anni. Alla tonnellata di interrogazioni, mozioni, interpellanze. Ai lamentosi j’accuse, ai perentori ultimatum, alle stucchevoli promesse. A proposito, ricordate l’assemblea regionale simbolicamente riunita in aeroporto? No? Infatti. Non si è mai svolta. Nonostante un annuncio datato 2010! Favole, battute, bufale roboanti. La realtà è che Malpensa rappresenta al meglio una gioiosa macchina lombarda sempre più simile al proverbiale colosso di argilla.
Fiaccata da inchieste giudiziarie che minano due impareggiabili sistemi economici come Sanità ed Expo’, e da un’eterna crisi economica che ne ha falcidiato il tessuto imprenditoriale, la Regione sembra incapace di reagire, passare al contrattacco, infondere autorevolezza, coordinare e guidare un’efficace azione politica che coinvolga tutto il territorio.
E di questo, i lavoratori in rivolta, hanno sentito la mancanza. Le belle parole non bastano più. Bisogna metterci la faccia, battere i pugni sul tavolo, scendere in campo uniti. Insomma, bisogna fare lobby. Una parola che la brutta politica ha reso odiosa. E che la buona politica ha il dovere di rivalutare.
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