Pippo Taglioretti aveva sperato in un regalo dalla Pro Patria. Questo: almeno un punto a Sassari per i suoi 79 anni compiuti ieri.
L’irraggiungibile Pippo con le sue 389 maglie biancoblù ci è rimasto un po’ male e quel quattro a zero è stato un altro po’ di sale che si è depositato su una ferita aperta: quella di una stagione disgraziata come l’attuale.
«Non ricordo – commenta un amarezza l’ex numero tre biancoblù – un campionato così difficile ed anche così brutto. Il ’56/57 è stata una stagione negativa, quando siamo retrocessi dalla B alla C: c’era Caimi a fare il commissario, ma esisteva una società. Invece qui mi sembra che la squadra sia un po’ allo sbando; che manchi una guida nel club e che di questo risenta anche la squadra. Non ha grandi mezzi tecnici, però
quando esiste una società, le cose si possono anche raddrizzare».
E questa è una realtà difficile da accettare per chi ha giocato in una delle Pro indimenticabili ed irripetibili: quella degli anni Sessanta in serie B composta da giocatori di Busto e della Valle Olona. Quella di un calcio semplice in cui il due (terzino destro) marcava l’undici avversario (l’ala sinistra) ed il quattro (mediano) il dieci (fantasista). Racconta Pippo: «Di quella squadra il giocatore che veniva da più lontano era Maltinti (un toscano), ma era qui a Gallarate a fare il militare; gli altri erano tutti della zona e nello spogliatoio discutevamo in dialetto anche perché non sapevamo parlare in italiano. Ma c’intendevamo anche in campo perché c’erano giocatori che sapevano giocare a pallone ed era sempre un confronto uomo contro uomo. Se l’avversario ti scappava una volta, alla seconda dovevi fermarlo con le buone o con le cattive, e magari alla terza ti girava alla larga».
Non solo Taglioretti ha marchiato (qualche volta) le caviglie dell’ala destra avversaria, ma ha saputo fare anche qualche gol. Una rarità. Ricordi indelebili per chi ha giocato da terzino sinistro con l’obbligo di non attraversare la metà campo, pena gli urlacci e i rimproveri della panchina.
Il buon Pippo di gol ne fece due in tutta la sua carriera, e nel giro di pochi mesi, allo stesso portiere che poi divenne campione del mondo: Dino Zoff. «Eravamo in serie B e giocammo ad agosto in Coppa Italia, in porta c’era Zoff che era giovanissimo.
Il primo è stato una lecca su respinta della difesa con la palla che è andata nel sette, il secondo a Udine in campionato alla prima giornata con un sinistro da quaranta metri. Me li ricordo molto bene anche perché li ho segnati a quello che sarebbe diventato il portiere mito della nazionale».
E con gli allenatori? «Sempre in buoni rapporti da Magni, Turconi, Todeschini, Lupi, Pedroni, Reguzzoni e Regalia.
Proprio Carlo mi ha telefonato per farmi gli auguri. Con lui in particolare c’è una grande amicizia. Sono stati bravi tecnici che hanno sempre difeso la squadra in pubblico. Non ho mai sentito una parola fuori posto contro i giocatori. Poi in privato te le cantavano, ma nessuno lo veniva a sapere».
Ma la Pro riuscirà a salvarsi? «Io lo spero perché mi fa male vederla in questo stato. Se non cambia qualcosa in fretta il prossimo anno rischia di giocare contro il Fagnano».
E quella del “vessillo” tigrotto non è una battuta, ma un’amara e drammatica prospettiva che mette paura.