– Quarantasei anni compiuti a novembre, belfortese, è tanto bella quanto perseguitata dalla sorte. Cresciuta nelle palazzine popolari sotto il castello, studia da sarta in una scuola di taglio e cucito e a diciotto anni, dopo un anno come cucitrice in Ticino, viene assunta all’Uba Uba, il mitico magazzino di abbigliamento aperto solamente da un anno: è l’88.
«C’erano due punti vendita: uno in via Casula dove oggi c’è Taobao e l’altro in via Avegno, vicino alla Banca Popolare di Milano, al numero 4: lì lavoravo io, e ci andai anche a vivere sopra con il mio amore».
Sonia conosce Fabrizio, commesso al Belgo Brico, dal balcone di casa sua: «Avevo diciassette anni, lui diciannove: era appena tornato dal servizio militare ed era venuto a stare nelle nuove case rosa sulla collina dietro alle mie».
Sono anni d’oro: «Eravamo cinque commesse giovani, affiatatissime e spensierate. Il lavoro a volte era pesante: non c’erano i corrieri e la merce dovevi scaricartela tu spesso dall’altra parte della piazza perché allora era una zona a doppio senso e passavano i pullman.
Le vendite erano forti, crisi di lavoro non ce n’era, i saldi erano una festa unica e tutta Varese correva da noi. La gente ci voleva bene, ci riconosceva per la strada». Proprio l’ambiente corale ed affettuoso di lavoro salva Sonia dalla crisi quando le muore fra le braccia un ventiseienne Fabrizio a soli undici mesi dal matrimonio.
«Sposandolo, sapevo della malattia: ma era il mio grande amore, ed è tuttora il mio angelo».
La sua bacheca di Facebook rispecchia il comodino: un’invasione di angeli. E lei, che ha bisogno di qualcuno che la sostenga, trova in un uomo di nove anni più anziano di lei un temporaneo conforto, da cui nasce il figlio tanto desiderato, che oggi ha diciotto anni.
Quando il piccolo ha nove mesi, a Sonia offrono di aprire un nuovo punto vendita a Busto: ma lei rinuncia per stare vicina al piccolo. Nel ’97 Uba Uba fallisce: Sonia si trova disoccupata e, poco dopo, anche abbandonata dal nuovo compagno. Ma la sua professionalità e la nuova dimensione di mamma le fanno trovare lavoro alla Yana Bimbi, davanti a piazza della Repubblica.
È l’agosto del ’99: e quando il figlio ha otto anni le fanno aprire il nuovo punto vendita di Tradate. «Il lavoro, di responsabilità, era appagante. Ma la nuova gestione mi chiese un ulteriore trasferimento a Seregno e io da mamma di adolescente mi rifiutai: non potevo sparire di casa dalla mattina alla sera».
Buonuscita, licenziamento e via: Sonia è di nuovo senza lavoro. È il 2011: ha superato i quarant’anni e diventa difficile ricollocarsi.
«Ho lavorato sei mesi in un negozio di borse al Gigante, poi altri quattro in uno di abbigliamento: i contratti non venivano rinnovati. Intanto mia madre si era ammalata, sarebbe morta nel marzo 2014 e dovevo assisterla».
Nel frattempo arriva lo sfratto dalla casa di via Brunico dove viveva da quindici anni, perché ufficialmente non ha un lavoro fisso ed è in arretrato con l’affitto: così si trasferisce dalla sorella, fino a che nel settembre scorso non le viene assegnata una casa dell’Aler a San Fermo.
«Il 7 di gennaio è stato un anno esatto dall’ultimo giorno di lavoro. Io però non mi rassegno, non tanto per me quanto per mio figlio: vivere con 500 euro al mese di pensione di reversibilità e 200 euro di affitto, con un ragazzo appena maggiorenne e che non ha ancora trovato lavoro, è un’impresa che non auguro a nessuno».
E al falò di Sant’Antonio, per lei appuntamento fisso da quando era bambina, Sonia presenterà un doppio desiderio chiuso nel bigliettino: ritrovare il lavoro per essere d’esempio e di sostegno per il suo ragazzo, ma anche un nuovo amore che si prenda cura di lei per il resto della vita.