«Il pericolo lo vedi dalla presenza massiccia della polizia nelle strade. Però cammini. Come tutti a New York». Il regista varesino in questi giorni è nella Grande Mela, dove sta girando la prima parte di un nuovo film, tra Brooklyn e Manhattan. Nella città dell’11 settembre deve fare particolarmente effetto vedere quello che è successo a Parigi, le stragi che sono state immediatamente ribattezzate come un “11 settembre della Francia”.
«Sono arrivato a New York lunedì – racconta il regista varesino – e devo ammettere che la proiezione dell’immagine della Tour Eiffel su uno dei palazzi storici della città, il Flatiron Building, un palazzo dalla forma triangolare sulla Broadway Avenue antistante la nuova Rizzoli, fa davvero effetto. Così come mi ha molto impressionato la presenza di polizia, e soprattutto di agenti con le armi in mano, a Times Square».
Le misure di sicurezza, ovviamente, sono aumentate anche negli Usa, anche se questa volta è toccato all’Europa pagare il suo tributo di sangue: «Capisci che sei nel centro del mirino – prosegue nel suo racconto Boriani – c’è la consapevolezza che New York è stata ed è sempre un bersaglio. Non è comunque una città che si ferma. E il mondo neanche…».
Il regista ci svela anche una serie di scambi di parole avuti con alcuni poliziotti incontrati in questi ultimi giorni: «A Columbus Circle mi hanno fermato all’ingresso della metropolitana e perquisito con attenzione, forse perché ho la barba, forse perché portavo lo zaino – dice Paolo – Tre agenti, tra cui un italoamericano di origini siciliane, che mi hanno appunto confermato che i controlli si sono intensificati a Manhattan. E mi hanno detto che le persone sono nervosissime, perché vogliono essere protette ma non vogliono i controlli in strada e in metropolitana».
È la solita storia del “conflitto” tra privacy e sorveglianza, che negli Stati Uniti ha suscitato molte controversie, nell’epoca post-11 settembre. «A Brooklyn, dove giro nelle ore diurne, non c’è lo stesso spiegamento di forze di polizia che trovi a Manhattan – rivela Paolo Boriani – La polizia sa che è Manhattan a essere a rischio e non il Bronx o il Queens, perché a Manhattan c’è un’infinita concentrazione di persone, non stop, 24 ore su 24.
Uno degli agenti, una donna, mi ha però confidato che sì, i controlli si sono intensificati, ma che se deve succedere quel qualcosa, succede. Come se stessero facendo il possibile ma con la consapevolezza che ci si sta confrontando con un “impossibile”».
Il regista ha incontrato anche molti italiani: «Con loro condivido l’idea che l’Europa è davvero lontana da New York, e l’Italia ancora di più. Parigi l’ha toccata. Ma l’Europa è lontana – chiosa Boriani – Io non mi sento a rischio, ma più che altro perché non ho proprio tempo per pensarci. Filmo dalle sette a mezzanotte, anche in metropolitana. A Times Square o nelle grandi piazze, la presenza della polizia è così forte che ti ricorda che c’è il pericolo. Però cammini. Come tutti a New York».