«Perché non possiamo non dirci cristiani» lo ha già spiegato il laico Benedetto Croce (quello citato è il titolo di un suo famoso saggio) e una benedizione non fa di certo male, come si capisce dall’origine del termine, che significa propriamente «dire bene». Per questo sono inopportune le porte sbattute in faccia ai parroci che, prima di Natale e prima di Pasqua, bussano alle scuole per benedire gli studenti. I casi si sprecano e fanno ovviamente clamore,
come quello, ormai non più recente, di istituti del Bolognese, con successivo ricorso al Tar e perfino una coda di minacce alla maestra.
L’altro giorno i vertici dell’Istituto comprensivo Garofani di Rozzano (scuole dell’infanzia, primaria e secondaria alle porte di Milano) hanno cancellato la festa di Natale e i crocefissi non sono più appesi nelle aule. Un altro fatto che sta già seminando polemiche e a cui sicuramente, prima del 25 dicembre, ne seguiranno altri ancora.
Se in Italia le proteste arrivano ovviamente dai genitori cristiani, in Francia erano stati quelli musulmani a manifestare forte dissenso nei confronti del ministro Vincent Peillon, che due anni fa aveva presentato la «Carta della laicità», affissa in ogni scuola del territorio a partire proprio dallo scorso mese di settembre, col ritorno nelle aule degli alunni. Le ragazze di fede islamica non possono indossare il velo in classe, perché, come si legge all’articolo 14 del documento, «è vietato portare distintivi o abiti attraverso i quali gli alunni ostentino una appartenenza religiosa». Allo stesso modo non ci sono simboli cristiani – né di qualsiasi altra confessione – perché «la laicità assicura agli alunni l’accesso a una cultura comune e condivisa» (articolo 7).
Va da sé che «il personale scolastico ha un dovere di stretta neutralità: non deve mai manifestare le proprie convinzioni politiche o religiose nell’esercizio delle proprie funzioni» (articolo 11). Dunque gli insegnanti sono laici: «Per garantire agli alunni la più ampia apertura possibile alle diverse visioni del mondo, così come all’ampiezza e alla precisione dei saperi, nessun soggetto è escluso a priori dal dibattito scientifico e pedagogico. Nessun allievo può invocare una convinzione religiosa o politica per contestare a un insegnante il diritto di trattare una questione facente parte dei programmi» (articolo 12).
Il modello scolastico francese è un fatto di difesa nei confronti degli alunni e di salvaguardia della loro libertà, come si capisce da uno dei passaggi cardine: «La laicità della scuola offre agli studenti le condizioni adeguate per forgiare la propria personalità, esercitare il libero arbitrio e formarsi alla cittadinanza. Essa li tutela da ogni forma di proselitismo e da ogni pressione che impedisca loro di fare le proprie libere scelte» (articolo 6). È per questo che le ragazze musulmane non possono portare il velo nelle classi francesi, dove non ci sono neppure i crocefissi. Il laico Croce aveva ragione: «Non possiamo non dirci cristiani». Ma, dopo aver letto la carta del ministro Peillon, non possiamo neppure non dirci francesi. E a osservarlo, qui adesso, non è un laico ma un cristiano convinto, ex alunno di un istituto salesiano, che ha poi frequentato una università cattolica.