A volte è fin troppo facile, quando muore qualcuno, dire che se n’è andato un grande. Lo si fa perché bisogna farlo, per convenzione, per educazione e a volte pure per ipocrisia. Ogni tanto però succede che ad andarsene è un grande per davvero, e lo si capisce subito: perché capita che senza volerlo ci si sente un po’ più soli. Ecco: Alfredo Martini era un grande per davvero. Uno di quegli uomini grazie ai quali il ciclismo è ancora lo sport più bello del mondo nonostante tutto quello che gli è capitato addosso.
Se n’è andato da gregario, abituato com’era a lasciare agli altri le luci della ribalta: a tirare le volate agli altri quando correva, a mettere i suoi corridori in cima al mondo da ct. E tutti quelli che come noi sono malati di ciclismo hanno perso un pezzo: un ricordo d’infanzia, un nonno, un papà. Tutti oggi potrebbero raccontare il “loro” Alfredo Martini, perché tutti hanno un aneddoto o un episodio da tirare fuori: segno della capacità che aveva quell’uomo di dare retta a chiunque, trattando l’inviato della Gazzetta e il giovane collaboratorucolo di provincia allo stesso modo.
Il nostro Alfredo Martini è legato a Ivan Basso. Perché forse in pochi lo sanno: ma tutto quello che Ivan ha saputo fare dalla squalifica in poi porta con sé qualcosa di Martini e probabilmente, senza Martini, la storia di Ivan sarebbe stata diversa. Basso ce l’ha raccontato nella sua biografia: ci ha raccontato dei mesi terribili nei quali il mondo gli si era capovolto addosso, schiacciandolo su un divano lontano anni luce dalle corse e dal suo mondo. Ci ha raccontato di quella lettera che Martini gli scrisse e che ancora oggi Ivan conserva tra i suoi cimeli più belli e importanti. “Alfredo – racconta – dall’alto della sua esperienza aveva capito il mio errore e si era reso conto di quanto stessi soffrendo. Pochi giorni dopo la sentenza di squalifica mi ha scritto una lettera meravigliosa, toccante, fatta di parole semplici che mi sono arrivate dritte in faccia come una scarica di ceffoni. Non ti ringrazierò mai abbastanza, vecchio Alfredo”.
Le abbiamo ritrovate tutte quelle parole, l’abbiamo visto tutto quell’affetto: giusto tre anni fa, alla partenza di una Tre Valli. Quasi per caso ci eravamo sorpresi al tavolino di un caffè nella piazza di Besozzo, da soli, con Alfredo Martini a parlare di Basso. Quel vecchio saggio tratteggiava l’amore per quel corridore che aveva visto crescere, vincere, perdersi, ritrovarsi e tornare a vincere parlandone come si fa quando si racconta d’un figlio. <Ivan – ci aveva confidato – forse avrebbe potuto vincere di più nella sua carriera, ma io sono tranquillo. Perché è un corridore felice, nonostante tutto: e quando smetterà di fare il ciclista, lo farà con il sorriso sulle labbra e senza rimpianti>. Allora Martini ci aveva pregato di non scrivere quelle parole – <Che poi sembra gli stia consigliando di ritirarsi> – e noi avevamo obbedito. Le tiriamo fuori oggi per dare un senso in più a questo giorno triste: fatto di ammiraglie vuote, di fiochi ricordi d’infanzia raccontati dalla voce di Adriano De Zan, e di uomini che se ne vanno anche se qui c’era ancora bisogno della loro presenza.
Francesco Caielli
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