La Mostra del Cinema di Venezia parla sempre più varesino. In gara c’è “La Vita Oscena”, tratto dal libro di Aldo Nove e diretto dal regista varesino di nascita Renato De Maria, e la cui colonna sonora è proprio di Cosma.
La scoperta più bella è proprio De Maria, ai più è noto come il “marito di Isabella Ferrari”, ma già autore di sei pellicole. Irresistibile chiedergli delle sue origini prealpine: «Ho ricordi vivi, intensi. Ricordo la luce del sole quando la tramontana arrivava alle spalle delle montagne e puliva l’aria rendendola pura, scintillante. I colori vivacissimi. L’azzurro e il verde soprattutto. E le ombre nitide scolpite sulla terra del cortile dove giocavo. Il cortile era in via della Carnaga a Masnago,
e nel cortile tutti erano del nord. Noi eravamo gli unici meridionali. Abitavamo dietro lo stadio, vicinissimi al palazzo dello sport dove giocava la Ignis che era fortissima. Di pomeriggio, aspettavo mio padre sui gradini di un lavatoio pubblico. Tornava dalla fabbrica, la Bianchi autocorriere, su un motorino. E per noi, io e mio fratello, era una festa pazzesca, tutte le volte che sbucava dalla curva. Quella strada poi proseguiva fino a Cantoreggio, dove viveva mio zio. Che aveva lavorato all’Aermacchi, costruiva gli aerei».
Poi il trasloco a San Fermo: «Un quartiere nuovo, in costruzione. Via Valtellina 8. Palazzo completamente di meridionali. A ogni piano una regione. Al primo piano noi, campani. Al secondo piano i calabresi, al terzo i pugliesi, al quarto i siciliani. Ogni famiglia aveva molti figli. Quindi in quel palazzo c’era sempre un bambino che piangeva, e una mamma che urlava, o un padre che sgridava. La strada era il nostro regno, invasa da una moltitudine di mocciosetti scheletrici e iperattivi. A scuola qualcuno ci dava anche dei “terroni”. Non mi sono mai sentito respinto per essere di origine meridionale». Ricordi che non sbiadiscono e che hanno influito sulla visione del mondo e del cinema di De Maria: «Quella luce metallica, nitida. La inseguo da tutta la vita. E anche quell’atmosfera di speranza nel futuro, di attività frenetiche, di tutto che sembrava andare in meglio. E l’umanità, la fatica e l’eroismo dei miei genitori. La fratellanza della mia famiglia, composta da cugini e zii innumerevoli. Mi sono rimasti dentro. Mi hanno dato coraggio».
Quindi l’incontro con Nove: «Con Aldo condivido l’osservazione della natura. Varese, circondata da campi, boschi, montagne, laghi. E però anche quel senso di periferia, di vivere ai margini di qualcosa che non si vede, che non si afferra, ma che sai che c’è. Da qualche parte. In fondo alla strada che porta a Milano, oppure oltre le montagne». E poi Cosma: «Con lui condivido tantissimo. Anche lui di origine meridionale, anche suo padre operaio, all’Ignis. La differenza tra me e loro è che io all’età di 8 anni sono partito per Bologna dove ho finito le elementari e sono cresciuto. Loro hanno studiato a Varese prima di trovare la loro strada». Ma ci potete giurare che De Maria un film nella città natale lo girerebbe: «Assolutamente sì. Un crime melò dalle tinte misteriose. Tra le montagne e i laghi. Con al centro della storia una di quelle ville che capisci che sono state abitate e bellissime, e ora sono chiuse e l’edera e le erbacce ne nascondono la bellezza. E una famiglia dispersa, magari protagonista in passato di una grande epopea industriale, che si ritrova, e qualcuno che manca, svanito nel nulla».
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