«Caro basket, sono innamorato di te. Ma è arrivato il momento di dirti addio». Quando uno è stato abituato dal proprio talento a dare del tu alla palla a spicchi lungo tutto l’arco della carriera, rifarlo anche nel momento della fine, dei riflettori che si spengono, del corpo che dice “basta” e va a contraddire una mente che invece sarebbe per un “per sempre”, è consentito. Quasi doveroso.
Dalle colonne del The Players’ Tribune ieri ha salutato la pallacanestro, annunciando il proprio ritiro dalle scene agonistiche al termine della corrente stagione, la sua ventesima in Nba. Dopo cinque anelli, due ori alle Olimpiadi, un Mondiale e un’incetta di premi individuali da ingolfare persino la pagina di Wikipedia a lui dedicata, quello che per molti è stata la reincarnazione di sua maestà , per altri un atleta troppo individualista, per tutti – favorevoli e contrari,
amanti o scettici, devoti o critici – indiscutibilmente un campione capace di lasciare il segno ha detto basta: «Sono pronto a lasciarti andare via ora – ha scritto sempre riferendosi alla sua ragione di vita – Voglio che tu lo sappia adesso, così entrambi potremo assaporare ogni momento che ci rimane». Bryant è un po’ , un po’ e un po’ : puoi anche non conoscere nulla di letteratura italiana, di calcio o di baseball, ma conoscerai loro, il loro alone che sconfigge l’agnosticismo. Tra le miliardi di persone che ieri mattina si sono svegliate e hanno letto su internet la notizia del suo ritiro, c’è anche il mondo cestistico varesino, comunque declinato.
La penna varesina del Corriere della Sera , per esempio: «Mancherà. Come campione, come personaggio, come esempio di fedeltà a una squadra, i Lakers, che non ha mai tradito. Forse ha tirato troppo la corda, poteva smettere prima: negli ultimi anni faceva impressione vederlo fisicamente in difficoltà. Un erede? Potrebbe essere Curry, ma deve diventare anche personaggio». Il tifoso dei Boston Celtics , invece, applaude l’avversario di sempre: «Lascia dei ricordi incredibili. Se ti piace la pallacanestro, non puoi non essere triste in questo momento, anche se lo consideravi troppo individualista e magari gli hai sempre preferito Jordan, per la capacità di quest’ultimo di coinvolgere di più la squadra. Io, Kobe, me lo ricordo bambino, mentre sgambettava in campo dietro a suo padre Joe». Già: l’Italia si potrà sempre fregiare di aver dato i natali cestistici a un campione di tal fatta. Dall’84 al ’91giocò nel nostro campionato (Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia le sue squadre) e tutti gli addetti ai lavori impararono a conoscere il suo piccolo erede che si metteva in mostra nei ritagli delle partite: «Ho stampato nella mente l’intervallo di un match in cui affrontammo Reggio Emilia – ricorda con un sorriso – Dal tunnel degli spogliatoi uscì questo “ragnetto” con le braccia lunghe e in campo si mise a fare di tutto: palleggi sotto le gambe e dietro la schiena, tiri… Gli altri bambini gli correvano dietro e non riuscivano a prenderlo».
La truppa straniera della Openjobmetis 2015/2016 è in “lutto” sportivo. A partire da : «Sono molto triste, perché sono cresciuto guardandolo giocare e si può dire che sia sempre stato il mio idolo. Ha avuto una carriera incredibile ed è forse giusto dire addio ora, ma la sua mancanza si farà sentire. Ci ho giocato contro due volte, una con i Philadelphia 76ers e una con i Los Angeles Clippers: dal campo riuscivi davvero a capire la capacità che aveva di far sue le partite». Poi : «Per uno che ha iniziato a fare questo lavoro anche perché affascinato da un giocatore come lui, la notizia che ho letto questa mattina è difficile da digerire. Sapere che non lo vedrò più giocare è triste e quantomeno strano. Anche perché non ho avuto la possibilità di affrontarlo: quando i miei Sixers incontrarono i Lakers, lui era infortunato. Sarebbe stato un sogno».
Infine : «Da quando ha iniziato a giocare nel 1996, ha letteralmente cambiato il mondo della pallacanestro. E non poteva non diventare un esempio per tutti quei ragazzi come me che, a quell’epoca, sognavano di diventare dei professionisti: cercavamo qualcuno di speciale e lui lo era. Stiamo parlando di uno dei migliori dieci giocatori di basket di sempre, ma anche di un grande personaggio». Roko ci giocò contro con la maglia dei Toronto Raptors: «E giocai bene. Segnai 11 punti, di cui sei in fila contro Gasol che si era trovato a difendere su di me. Ero gasato, ma non avevo fatto i conti con Kobe. L’azione successiva, dopo aver battuto un’altra volta il mio difensore, mi fiondai a canestro per un comodo appoggio, ma da dietro arrivò Bryant e mi tirò una stoppata memorabile. Evidentemente si era stufato di vedermi segnare».