Stasera comincia l’avventura biancorossa più intrigante degli ultimi anni. Sì, perché sarà una corsa a handicap, ostica e fascinosa insieme: affaccio al campionato con penalizzazione di tre punti (uno è già stato tolto, gli altri due lo saranno presto), rischio di patire tra un paio di settimane un’ulteriore afflizione di classifica, obbligo di sanare un deficit milionario, parco giocatori ridimensionato rispetto all’anno scorso. Però anche l’intento di sfatare i più cupi pronostici, il desiderio d’impegnarsi in un’impresa (la salvezza) che se compiuta sarebbe straordinaria la consapevolezza di rappresentare qualcosa di più d’una squadra di calcio. Cioè d’essere considerati l’apprezzabile copertina d’una città intenzionata a voltar pagina, competere, acquisire smalto d’immagine, onorare il suo passato sportivo guadagnando consenso contemporaneo da allargare ad ambiti diversi: sociale, culturale, politico.
Insomma: sarà un Varese incaricato d’andare oltre le aspettative, e che sollecita fiducia, sostegno, affetto. Glieli hanno concessi i tifosi che finora hanno sottoscritto l’abbonamento, altri potrebbero seguire l’esempio dopo la prime giornate del torneo se le prove offerte cattureranno simpatia. Proprio questo è l’obiettivo di Bettinelli, l’allenatore giusto al momento giusto: mostrare uno stile (l’esuberanza atletica, il pregio del gioco, lo spirito dei protagonisti) consequenziale a un’eredità epocale che consiste nell’apprezzamento ricevuto dalle platee di maggiore noblesse, in serie C, B e A.
Ne è sortita, tra corsarismi vari e ripetuti, la trasformazione di una maglia in un marchio, con il Varese divenuto sinonimo di calcio frizzante e piacevole, pratico e garibaldino, versatile e sorprendente, prodotto dalle mani d’artigiani della panchina capaci di fondere doti diverse, se non confliggenti, in un brillante esito unitario: Maroso, Fascetti, Sannino e Maran, tanto per citare qualche nome che viene facilmente alla memoria. Se siamo orgogliosi di un brand, lo dobbiamo all’abilità di tecnici allo stesso tempo conservatori e innovativi, bravi ad applicare regole antiche con flessibilità attuale. E ligi nell’interpretare la linea d’azione suggerita dalla società, frequentata da dirigenti bravi e meno bravi, ma che nelle difficoltà ha sempre riattivato con saggezza il dna delle origini.
Oggi è il giorno dell’ennesima ripartenza. Difficile, complicata, insidiosa. Non si sa neppure quale sarà la definitiva squadra, chi resterà e chi partirà nelle ultime ore di mercato. Ma si sa con certezza che sarà una squadra: poche e chiare idee, molte e fondate speranze, un gruppo, un’anima, una bandiera.
La varesinità consiste nel privilegiare il pragmatismo, l’essere umili, l’appartenenza a una storia ricca di capitoli prestigiosi, quando non gloriosi. C’è voglia di scriverne altri, dettata da un entusiasmo così curiosamente fideistico da apparire eccessivo; ma supportata dalla razionale coscienza che solo una fantasiosa incoscienza può rendere possibile l’impossibile.
S’inizia un anno da cuori forti, gli unici in grado di reggere nella contingenza più debole: Varese ha l’occasione per farne battere di nuovi e generosi, dando credito a chi ritiene d’offrire non una scommessa e invece un progetto. Tra dieci mesi potrebbe essere motivo di sobrio vanto dire: io c’ero. Io ci sono stato. Io ci sarò ancora.
Max Lodi
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