Il silenzio del mare racconta la leggenda e i sogni di Mauro

Stasera a Varese si ricorda il giovane viaggiatore scomparso nel 1994 durante un’immersione. Aveva attraversato l’oceano sulla sua piccola barca

Un marinaio lo riconosci dallo sguardo: ti fissa con franchezza, ma va oltre. La sua dimensione ideale è la profondità – quella dell’orizzonte – e l’illusione tipica che comanda i sogni.
Chi l’ha conosciuto sa che Mauro Bossi, nato a Milano nel 1961, cresciuto a Varese e morto a Capo Palinuro nel 1994 durante un’immersione, era così: si vedeva sempre in giro per il mondo, su una barca da piccola nautica (al di sotto dei sette metri di lunghezza), con muta da apneista per scandagliare il fondo del mare e il suo sassofono per immergersi nelle luci dell’anima.

Stasera, alle 20.30 al caffè “La Cupola” in via Donizetti, Varese lo ricorda con un libro fotografico dal titolo “15.000 miglia in solitario” (in omaggio a chi interverrà all’incontro), tanti filmati, i genitori Nini ed Emanuele e l’amico Massimo Bruno, il proprietario dell’unico negozio di dischi, il Records Runners, rimasto in Varese.
E sarà proprio Massimo a dare il via a quella macchina alchemica che fa brillare i ricordi. Eccone uno: «Per rientrare in Europa,

dopo aver partecipato alla Mini Transat (la regata in solitario sull’Atlantico che parte dalla Bretagna e arriva in Martinica), Mauro decise di passare dagli Stati Uniti – dice Massimo. A metà traversata il gas della bombola finì, così raggiunse le Azzorre senza un pasto caldo: usò le semplici candele in cera per prepararsi una minestra o un tè». Il lavoro di un velista, perché troppe sono le fatiche per poterlo considerare un hobby, è incessante. Il mare è devozione e la barca è la sola tua compagna. E della tua barca ti devi fidare soprattutto quando batte forte, il barometro scende, intorno a te c’è il nulla.

Mauro Bossi, la sua compagna, se l’era disegnata, progettata e costruita su misura in compensato marino. Di soli 6,50 metri, di color rosso come una Ferrari degli oceani, “Naima” – dal titolo di quella dolcissima ballata composta nel 1959 da John Coltrane e poi donata dalla famiglia Bossi al Museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo Da Vinci” da Milano – portò Mauro lontano. Ben oltre la transatlantica “Mini Transat” del 1989. Ben oltre i confini che un uomo pensa di non poter superare.
A ricordarlo bene è proprio Bruno: «Eravamo amici fraterni: cenavamo insieme ma, soprattutto, ci buttavamo in esperienze uniche come quella di fondare una scuola di vela e diventare istruttori. A legarci era la stessa passione per i grandi viaggi oceanici, per i grandi esploratori (Shackleton e Magellano), per la storia della navigazione solitaria. Mauro era geniale, appassionato di avventura, assetato di posti remoti. Spiritualmente rincorreva il mito della libertà ai confini del mondo: lo faceva con un piccolo computer (che serviva solo per elaborare i dati delle rotte tracciate), una bussola e un sestante».

È questa la Mini Transat, con Mauro che per poterci essere navigò giù per il Mediterraneo passando lo stretto di Gibilterra, risalendo le coste portoghesi e attraversando il Golfo di Guascogna. E infine, alla Mini Transat, ci arrivò. Per un ragazzo di 28 anni l’impresa è titanica. Ma Mauro – diploma al Liceo Scientifico Ferraris di Varese e iscritto al Politecnico di Milano – si spinge fino a New York, controlla i venti e si trasforma in quella che oggi, per gli amici, è una “leggenda dimenticata” da riportare in superficie. Lo sa bene Massimo Bruno, che mentre ascolta un disco di rock misura la velocità del pensiero in nodi sui versi di “Ma come fanno i marinai” di De Gregori e Dalla: «Intorno al mondo senza amore, come un pacco postale, senza nessuno che gli chiede come va». Mauro, invece, le persone le conquistava con simpatia: “15.000 miglia in solitario” con navigazione astronomica, senza pilota, senza tecnologia, senza assistenza. Non è da tutti; non è un niente. E questa è la sua storia.