«La cosa più bella? Percepire il desiderio di queste ragazze di capire come da un semplice dettaglio si possa fare un canestro in più o subirne uno in meno. Difficile riscontrare altrove un impegno così grande».
Matteo Jemoli, tra una valigia da disfare e una – più grande – da fare, trova il tempo di confessare le emozioni che hanno accompagnato la sua avventura con la nazionale femminile del Cameroon, appena conclusa dopo dieci intensi giorni a Salsomaggiore.
L’ex assistente della Pallacanestro Varese sta per partire per Trapani, pronto a iniziare il percorso di vice allenatore a fianco di Ugo Ducarello alla guida della squadra siciliana in Serie A2. Lo farà arricchito da un’esperienza che gli ha permesso di confrontarsi con un basket diverso dall’ordinario, forse più genuino, sicuramente ancora da plasmare e ancora in grado di regalare le sensazioni uniche della scoperta. A fianco di Stefano Bizzozi, coach che successe a Fabrizio Frates sulla panchina di Varese nel 2014,
è stato infatti consulente tecnico della nazionale rosa del paese centro-africano, in ritiro per un mese in Italia per preparare due grandi appuntamenti: i giochi africani, che si terranno in Congo, e soprattutto AfroBasket, il campionato continentale per nazioni che – tra settembre e ottobre – regalerà due pass per le Olimpiadi di Rio De Janeiro.
Per lui quelli appena passati sono stati dieci giorni di sudore, amichevoli e sedute tecniche varie, con un compito ben preciso: «Stefano si è occupato sul campo della preparazione dei coach che dovranno poi condurre la squadra nelle due manifestazioni – spiega Jemoli – Io, invece, ho cercato di insegnare ad allenatori e giocatrici l’uso dei supporti tecnologici per il miglioramento individuale e collettivo: dai programmi del computer negli allenamenti, alla registrazione delle partite».
Un inedito per il neonato staff africano (e per le atlete), un successo per Matteo: «E’ stata una parentesi molto bella e interessante. Ho avuto a che fare con un gruppo molto unito, formato da ragazze che giocano sia in Europa e nei college Usa, sia nel campionato camerunense. Non tutte sono abituate a questi metodi di lavoro, anzi. Ma la loro disponibilità a imparare qualcosa di nuovo, a cercare anche solo un piccolo miglioramento in ogni aspetto del gioco, così come la percezione di umiltà e di impegno smisurato, sono cose che mi hanno gratificato molto». Anche perché unite al puro amore di rappresentare un Paese in canotta e pantaloncini: «AfroBasket si svolgerà proprio in Cameroon e tutte le giocatrici sentono molto il dovere di far bene, nonché l’orgoglio di essere parte della nazionale. E lo dimostrano a partire dai singoli allenamenti: mai viste sessioni di tale intensità».
L’aspetto più magico è legato al sogno a cinque cerchi, un traguardo che lega in modo indissolubile Bizzozi e Jemoli a tutta la rappresentativa femminile e al suo staff: se qualificazione dovesse essere, il risultato gratificherebbe tutti, dai “nostri” rappresentanti italiani all’ultima delle atlete africane. Ma non sarebbe solo una questione di gratificazione: «Andrei anch’io in Brasile, partecipando alla mia prima Olimpiade, qualcosa di talmente grande che si fa fatica a dirlo. Per ora sognare non costa nulla: ci saranno altre cinque o sei formazioni a contendersi i due posti in palio, ma le nostre ragazze possono ben figurare. Sarebbe il coronamento dell’intero lavoro: so già che a fine settembre sarò dietro allo schermo del pc per cercare lo streaming delle partite. Soffrendo». La speranza di avere un varesino a cinque cerchi non è solo sua.