– Lidia potrebbe non essere stata uccisa sulla sua Fiat Panda. L’ipotesi era già emersa 29 anni fa e oggi viene riproposta da , difensore di , 49 anni, di Brebbia, arrestato lo scorso 15 gennaio con l’accusa di aver stuprato e ucciso , studentessa varesina di 20 anni, il 5 gennaio 1987.
Nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato Binda in carcere si ricostruisce il momento del delitto. Per l’autorità giudiziaria Lidia fu violentata sulla sua auto.
Quindi sempre sulla macchina fu colpita da più coltellate e finita, con i colpi alla schiena, mentre, appena fuori dalla macchina, era caduta cercando di fuggire.
Ci sarebbe, però, quantomeno nella ricostruzione indicata dalla difesa, un dettaglio mancante: il sangue. Vero è che il medico legale dice che fu quello stesso sangue a uccidere Lidia vittima di un’emorragia interna, ma è singolare che sull’auto dove il delitto avrebbe avuto inizio siano state trovate pochissime tracce ematiche, mentre le ferite inferte alla ragazza avrebbero dovuto imbrattare sia l’auto, che il luogo ai margini del bosco di Cittiglio, vicino alla macchina, dove il cadavere della ventenne è stato ritrovato.
«Almeno due litri di sangue», ipotizzarono i periti dell’epoca, dei quali, però non c’è traccia. Cosa è accaduto? Lidia fu uccisa altro e e poi trasportata sino a Cittiglio? Se l’ipotesi venisse confermata lo scenario potrebbe cambiare radicalmente perchè a questo punto vorrebbe dire che, la scena del crimine presa in esame per 29 anni, non sarebbe quella reale.
C’è il dato della benzina. Lidia quella sera, prima di uscire per andare a Cittiglio a trovare un’amica ricoverata in ospedale a causa di un incidente, ricevette dal padre diecimila lire. La Panda era in riserva e lei avrebbe dovuto fare carburante. Quei soldi le furono trovati addosso.
Il serbatoio era vuoto. L’auto non avrebbe potuto percorrere una distanza superiore a quella tra Varese e Cittiglio senza un rifornimento. Lidia fu costretta a salire sulla macchina di qualcuno? Il dettaglio però
non quadra con la testimonianza di un’altra paziente dell’ospedale di Cittiglio che dalla finestra avrebbe visto una Panda accostarsi a una vettura di più grossa cilindrata di colore chiaro (Binda all’epoca guidava una 131 bianca) come se qualcuno vi dovesse salire.
A tutto questo si aggiunge il dettaglio che l’arma del delitto non è mai stata identificata con certezza. La si cerca nel parco Mantegazza sequestrato lo scorso 15 febbraio. Secondo quanto raccontato da , colei che avrebbe identificato in Binda l’autore della lettera anonima “In morte di un’amica”, recapitata alla famiglia Macchi il 10 gennaio 1987 – giorno del funerale della ragazza e considerata una sorta di confessione dell’assassino – lei e Binda pochi giorni dopo l’omicidio fecero un giro in auto.
Da Brebbia raggiunsero Varese e Binda si fermò in via Caracciolo dirigendosi a piedi verso il parco con un sacchetto di carta che, per l’autorità giudiziaria, forse conteneva l’arma del delitto.
Ci mise pochi minuti: per questo le ricerche si concentrano all’ingresso del giardino pubblico.
Ad oggi sono stati trovati sei coltelli e un falcetto, almeno un coltello potrebbe, ad occhio, corrispondere all’arma del delitto ma è un’ipotesi prematura.
Decine di oggetti potrebbero avere la stessa corrispondenza e poi il coltello potrebbe avere caratteristiche calzanti ma non essere quello utilizzato dall’assassino. Il sequestro del parco, che avrebbe dovuto concludersi oggi, è stato prolungato di altri sette giorni. Si cerca ancora.