– Le mie dimissioni? Tanti mi chiedono di ritirarle, ma io andrò fino in fondo, fino alla votazione in aula». Parola di Laura Bignami, la senatrice ex Cinque Stelle, attualmente nel Movimento X al gruppo misto di Palazzo Madama, che è diventata un’icona dei diritti civili dopo la sua dichiarazione di voto in cui ha dato degli «omofobi, ignoranti, trogloditi e frequentatori di Youporn» ai colleghi che votavano la fiducia sul ddl Cirinnà, parlando con in mano la sua lettera di dimissioni dal Senato. «Mi hanno contattato a centinaia per ringraziarmi e farmi i complimenti. La migliore che ho sentito? Un ragazzino che mi ha scritto “da grande vorrei fare la Laura Bignami”».
Arrivata a casa, ho trovato un botto di lettere personali, tra cui quella del direttore di Gay.it. Senza contare le centinaia di commenti apparsi sui gruppi Lgbt, come “Stop omofobia”, così come le diverse telefonate di complimenti che ho ricevuto, anche di nascosto da persone che non vogliono che lo si sappia pubblicamente, persino qualcuno del Movimento Cinque Stelle. Mi ha chiamato persino il presidente di un gruppo del Senato, per chiedermi il permesso di impegnarsi per far ritirare le mie dimissioni.
Andrò fino in fondo, arrivando a discutere le dimissioni in aula. Se le respingeranno, ne uscirò più forte. Vorrei ricordare che tanti “dem”, a partire dalla stessa Cirinnà, avevano minacciato dimissioni in caso di arretramenti sulla legge, ma hanno solo fatto finta. Io invece ho ritenuto più nobile questo gesto, che ha un significato fortissimo, perché è vergognoso che oltre a concedere i diritti in modo frammentario, si prendano anche in giro le persone togliendo l’obbligo di fedeltà. Da qualsiasi parte si guarda questa vicenda, non vedo giustificazioni. E di fronte ad una fiducia cieca chiesta al Senato, senza nemmeno avere ancora in mano il testo della legge, io ho voluto dare la mia sfiducia cieca. Era una situazione imbarazzante: 300 persone impotenti, piegate ad un governo nemmeno legittimato dal voto popolare.
Può darsi che votino contro le dimissioni, ma una componente di rischio c’è, non è proprio una passeggiata. Anche perché ormai, con il Senato che non c’è più, le regole non valgono più. Poi i tempi della calendarizzazione sono sempre quelli, non a breve termine. Se potessi scegliere, e se dovessero chiedermelo, farei calendarizzare la discussione dopo il voto sulla legge sul “dopo di noi” che sta per arrivare in Senato, ma nel frattempo continuo a lavorare, visto che il mio disegno di legge sul ruolo del caregiver familiare ha ottenuto 55 firme da tutti i gruppi parlamentari. Spero di riuscire a portarlo a termine, perché è una figura che solo in Italia non è regolamentata. Ma se mi dimetterò, sarò orgogliosa lo stesso anche se la farà approvare qualche altra collega. L’importante è che si faccia.
Sì. Avrei detto che votavo no ad un pasticcio sia di metodo che di merito, ad un insulto a tutte le famiglie omosessuali e alle istituzioni, dando la cinquantesima mia sfiducia cieca a questo governo. Avrei chiesto di non parlare più di adozione, perché se non avete i numeri oggi non li avrete neanche domani: falsi. E che tre sono le cose che mi porterò a casa e che mi hanno nauseato. Primo, la fiducia,
il ricatto ignobile della poltrona per chi in maggioranza non la vuole perdere e l’insulto alla dignità di chi in opposizione non può darla, quando ha in gioco la propria, di dignità. Secondo, il retromarcia dei Cinque Stelle, calato e calcolato, che si commenta da sé: chi, senza decisioni corali, si prende queste responsabilità deve andare a casa se viene smentito. Terzo, la longa manus della chiesa, scritta in minuscolo, perché deve smetterla di occuparsi dei corpi e degli averi. Si occupi delle anime, che non hanno sesso. Nessuna di queste tre cose ci sarebbe dovuta essere.
Non li inseguo, voglio fare la portatrice dei diritti, non la portatrice di interessi. Per tutto ciò che riguarda i diritti, avanti tutta.
Per me l’utero in affitto è una pratica illegale. Vantarsi di aver raggirato la legge non credo faccia onore a nessuno. Io avrei preferito l’istituzione di un ente terzo che prenda in carico donne in difficoltà, per prevenire gli aborti in Italia e consegnare questi bimbi in adozione. Se i centomila aborti che si fanno in Italia diventassero in gran parte i figli amati da qualcuno sarebbe stato meglio.